Concepire il femminile. Confronto tra una femminista e un liberale critico / Prima parte

Come contrastare la restaurazione del dominio al maschile al tempo della mutazione del capitalismo in plutocrazia? Per Pierfranco Pellizzetti – in una lettera indirizzata a Monica Lanfranco – l’enfasi sulla sola de-generizzazione della società rischia di condannare il movimento delle donne all’impotenza. Nel prossimo numero di M+ la risposta di Lanfranco.

«Non è mai esistito un valore

di civiltà che non fosse una nozione di

femminilità, di dolcezza, di compassione,

di non violenza, di fragilità rispettata».

Romain Gary[1]

«La Dea Bianca non sembra avere probabilità di

tornare in scena, almeno fino a quando le donne

non si stancheranno del patriarcato decadente.

Ma per il momento la cosa sembra improbabile»

Robert Graves[2]

La bellezza della lotta

Cara Monica, penso converrai con me che, almeno per tre quarti del Novecento, gli operai e le donne si sono rivelati i protagonisti vincenti nella partita per la conquista di nuove dimensioni più avanzate della democrazia. Il movimento del lavoro organizzato a falange macedone e quello – se vogliamo, più a pelle di leopardo – delle femministe.

Entrambi vittoriosi nel conflitto con le forze della conservazione – il comando capitalistico e l’ordine patriarcale – perché seppero strumentare strategicamente le loro istanze, vuoi bloccando attraverso lo sciopero la riproduzione della ricchezza nel processo industriale, vuoi inceppando la riaffermazione dell’egemonia maschile attraverso l’occupazione dello spazio pubblico e privato.

Questo per dire che mi ha lasciato francamente basito – durante la presentazione del tuo ultimo saggio ai Giardini Luzzatti di Genova, all’inizio dello scorso agosto – ascoltare la commemorazione nostalgica di un appello di Lidia Menapace, formulato nel Social Forum per il G8 2001, quale invito a rimuovere dal linguaggio delle donne ogni pur vaga forma di bellicosità. Intesa come cedimento subalterno a una mentalità aggressiva meramente maschilista. Dunque, le antiche suffragette – combattive nel promuovere le loro convinzioni – come quinte colonne dell’ordine patriarcale? Ma per favore! Semmai, l’unico esito possibile di questo disarmo unilaterale, propugnato quale modalità superiore al fine di promuovere valori al femminile, è la sottomissione alla benevolenza della controparte; nella speranza di ricavarne qualche graziosa concessione. Del resto abbastanza improbabile visto il trend epocale, in cui l’assenza di un qualsivoglia bilanciamento da parte dei soggetti (un tempo) contrapposti ai rapporti di forza…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

Una nuova generazione di femministe russe, oggi quasi tutte riparate all’estero dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, sta svelando attraverso un nuovo uso del linguaggio poetico il trauma rappresentato per le donne dalla violenza maschile, all’interno di una società patriarcale come quella russa che, con il pieno avallo dello Stato, ritiene lo spazio domestico e chi lo abita soggetti al dominio incontrastato dell’uomo. La popolarità della loro poesia e del loro impegno testimonia la reattività della società russa, nonostante la pesante militarizzazione.