Le città invisibili, le città inevitabili

A cinquant’anni dalla pubblicazione ripercorriamo l’opera di Italo Calvino dedicata al più umano dei prodotti umani: la città.

«Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città». Così aveva appuntato Italo Calvino in alcuni interventi di presentazione della sua opera, che era apparsa per Einaudi nel 1972. Cinquanta anni fa.

Non si può non partire da questa affermazione, fatta in occasione di una conferenza tenuta nel 1983 alla Columbia University, per riflettere, mezzo secolo dopo, su un libro che, come capita a poche opere, non perde il suo fascino e la sua attualità, anzi, per certi versi, potrebbe essere stato scritto oggi. Questo ne farebbe un libro profetico senonché, per la sua struttura, non indica una prospettiva, ma disvela con lo strumento della lingua o, per meglio dire, delle immagini non disegnate ma raccontate, la complessità e l’irriducibilità del più umano dei prodotti umani, la nicchia ecologica della specie: la città.

Oggi, ancor più di cinquanta anni fa, Le città invisibili costituisce, a saperlo leggere, uno strumento poderoso di comprensione delle città, al punto da tornare a essere inevitabile. Oggi, in conseguenza di una pandemia che sta costringendo a rivedere il nostro rapporto con lo spazio urbano, la forza immaginifica e visionaria dell’opera di Calvino può offrire spunti di riflessione importanti.

Sono 55 i ritratti che Calvino dedica alla città e a essi aggiunge 18 corsivi, ciascuno dei quali apre o chiude un gruppo “interpretativo” composto da cinque città, tranne il primo e l’ultimo che sono composti da dieci. Ma sono davvero 55 città o è sempre la stessa?

Calvino spiegò in quella sua conferenza come li aveva scritti e poi assemblati e quante volte aveva cambiato l’organizzazione dei 73 testi. Anche il lettore si sente quindi autorizzato a rimescolare tutto, a creare un proprio ordine tenendo sempre fermi i 18 corsivi.

Forse per questo si sono nutriti di questa opera non …

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.