Problema Russia

Quand’anche Putin fosse caduto, l’avventura militare ucraina stoppata, resterà comunque un problema enorme: il problema Russia. Qualcosa che l’Occidente non ha mai affrontato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il problema è: quale posto dovrebbe avere la Russia in un ordine mondiale almeno un po’ stabile?

Per una volta tutti noi condividiamo i desideri non tanto nascosti del Pentagono, della Casa bianca e di tutto l’establishment occidentale: che a Mosca abbia successo una bella congiura dei boiardi, vecchio stile, che rovesci Vladimir Putin e ponga fine a una guerra di cui è difficile capire i motivi di chi l’ha scatenata.

Per boiardi intendo i vertici delle forze armate e/o gli oligarchi miliardari e i loro agganci nei servizi segreti e di sicurezza, tutto un establishment sempre più a disagio con l’iperattivismo militare del proprio leader. Ma anche senza boiardi, lo sguardo deve già volgere al dopoguerra, a quello che verrà dopo, con Putin o, più verosimilmente, senza.

Infatti, quand’anche Putin fosse caduto, l’avventura militare ucraina stoppata, resterà comunque un problema enorme: il problema Russia. Qualcosa che l’Occidente non ha mai affrontato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il problema è: quale posto dovrebbe avere la Russia in un ordine mondiale almeno un po’ stabile? È comprensibile che, viste le vicissitudini del passato, i piccoli e medi Paesi limitrofi, dalla Lituania alla Polonia e agli altri ex satelliti sovietici, si auspichino che la Russia scompaia dalla carta geografica. Ma non è possibile.

Una soluzione alternativa l’aveva proposta Zbigniew Brzezinski quando aveva suggerito di fare dell’ex Urss uno spezzatino geografico smembrando anche la Siberia: «Una Russia vagamente confederata – composta da una Russia europea, una Repubblica siberiana e una Repubblica dell’Estremo Oriente – troverebbe più facile coltivare relazioni economiche più strette con i suoi vicini».

Questa soluzione è resa quantomeno problematica dalla presenza della Cina a sud della Siberia. Basta guardare la carta geografica: a sud la Cina, una terra sovrappopolata (1,4 miliardi di abitanti) con un forte rischio di desertificazione delle terre coltivabili, a nord la Siberia, una sterminata distesa di 13 milioni di kmq, dotati di immense riserve minerarie e terre che lo scioglimento del permafrost può rendere fertili, abitata da solo 35 milioni di persone. Basterebbe la pressione demografic…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.