“Un’alternativa civilizzante per uscire dalla morsa delle crisi”

L’ottava intervista della serie “La politica che (non) c’è” è a Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della Rete Numeri Pari. Al centro, il contrasto alle mafie, l’assenza di una politica in grado di dare spazio alle istanze dal basso e una rappresentanza ormai scomparsa, appiattita sui “diktat” del governo di Mario Draghi. È così che, mentre i soldi “non ci sono” per le politiche sociali «si stanziano 38 miliardi per armare il Paese e 19 miliardi per finanziare le imprese petrolifere».

Incontriamo Giuseppe De Marzo per l’ottava intervista della serie “La politica che (non) c’è” lunedì 21 marzo al termine della manifestazione in Campidoglio organizzata per la 27a Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Una giornata volta a fare memoria di tutti coloro che sono stati uccisi dalla violenza mafiosa e che dal 1996 rappresenta per l’associazione Libera l’occasione di essere al fianco di chi, troppo spesso, non ha ottenuto né verità né giustizia, rivolgendo allo stesso tempo lo sguardo al presente per la costruzione di una società libera dall’oppressione mafiosa. Giuseppe De Marzo è coordinatore nazionale della Rete Numeri Pari, percorso inizialmente promosso dal Gruppo Abele e da Libera e che oggi unisce centinaia di realtà sociali in tutta Italia «che condividono l’obiettivo di garantire diritti sociali e dignità», ed è il responsabile nazionale di Libera per le politiche sociali.

«Siamo scesi in piazza per ricordare al Paese che senza memoria condivisa, senza giustizia, le mafie continuano a essere forti e la condizione sociale, economica e culturale in cui ci troviamo rischia di rafforzarle ulteriormente». Al centro della giornata, «non un’idea di memoria retorica, celebrativa, ma viva e condivisa». Il che significa «impegno, difesa dei valori costituzionali. La politica oggi non ritiene più una priorità sconfiggere le mafie, per questo non ha consapevolezza di come siano cambiate nel corso degli anni, sfruttando la crisi prodotta prima dalle politiche di austerità e poi dalla pandemia».

Parte da qui la nostra discussione. Dalle istanze promosse dal basso che, sempre di più negli ultimi anni, hanno trovato nella politica intesa come classe dirigente del Paese un ostacolo.
Noi come Libera continuiamo a porre alla politica una serie di questioni, di temi prioritari per la democrazia. Sono nove anni, prima con Miseria Ladra e poi all’interno della Rete Numeri Pari, che continuiamo a chiedere politiche sociali coerenti con quanto stabilito dalla Costituzione e con la necessità di sconfiggere le mafie: reddito minimo garantito, e su questo ritengo molto importanti le parole di Chiara Saraceno rilasciate proprio a MicroMega; diritto all’abitare, visto che il 18% delle famiglie italiane non è oggi in grado di pagare l’affitto; politiche che garantiscano un lavoro giusto e dignitoso; e il ritiro del progetto dell’autonomia differenziata, una secessione dei ricchi che alberga ed è condivisa per certi versi dalla borghesia mafiosa del nostro Paese, che certificherebbe l’esistenza di cittadini di serie a, serie b e serie c visto che la traduzione pratica di questo progetto (lanciato prima dalla Lega e raccolto poi da Bonaccini e altri esponenti del Pd) sarebbe quello di non garantire a tutti i cittadini italiani gli stessi diritti e di violare l’unità della Repubblica, frammentandola in tanti staterelli. Abbiamo poi chiesto che sul Pnrr ci fosse vera coprogettazione e vera coprogrammazione come prevede l’articolo 3 del codice del partenariato europeo e come indicato dalla sentenza 131 del 2020 della Corte costituzionale, perché l’efficacia dei progetti è maggiore coinvolgendo il terzo settore, le associazioni, le reti sociali. Perché solo in questo modo i progetti possono essere veramente efficaci e garantire un trasparente uso dei fondi.

Nemmeno su questo punto siete stati ascoltati. Eppure, quella del terzo settore era una mano tesa, in aiuto, sui progetti del Pnrr.
Purtroppo siamo molto preoccupati perché il governo Draghi non ha fatto della coprogettazione e della coprogrammazione il proprio metodo, mostrando ancora una volta come l’unico metodo scelto sia invece quello verticale, con la chiusura all’ascolto delle istanze delle reti sociali e dell’associazionismo, allontanando ulteriormente i cittadini dalla politica. Per la verità Draghi non ascolta nemmeno il Parlamento. La politica con questo governo è ridotta a una subordinata. E questo offende la Repubblica.

Nonostante ciò, in questi mesi le piazze sono state piene. Potrei fare molti esempi, quindi meglio non farne nessuno.
Questo, paradossalmente, ci preoccupa. Le piazze viste in questi mesi, piazze che definirei disperate, devono farci riflettere. Quando lo Stato e la politica non garantiscono i diritti sociali, l’istruzione, la…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.