I ragazzi e le ragazze che sono scesi in piazza a partire da settembre 2022 sono mossi da uno spirito cosmopolita che in fondo ha sempre caratterizzato l’Iran, fin dai tempi dell’impero persiano e in modo ininterrotto giungendo fino a oggi. Abbiamo visto come già prima della rivoluzione, che rappresenta erroneamente, nell’immaginario collettivo, il ritorno inderogabile a un passato oscuro, i pensieri e le idee si forgiassero su un sapere globale e che i giovani di allora si nutrissero di una cultura cosmopolita; dal punto di vista materiale, la circolazione delle idee avvenne in modo sempre più massiccio, proprio attraverso la circolazione dei beni: uno di questi era il petrolio, che defluiva dal Paese ma ritornava sottoforma di nuovi capitali, nuove mode e nuovi saperi. In questo senso, non solo i giovani di 45 anni fa erano già cosmopoliti e globalizzati, ma lo stesso revival della religione sciita era frutto di questo milieu culturale cosmopolita.
L’introduzione di trasporti, il collegamento del Paese attraverso nuove arterie autostradali, la scolarizzazione di massa e la produzione industriale in serie diedero una nuova linfa al cosmopolitismo già insito allora nella cultura iraniana.
Difficile, leggendo non solo i romanzi, ma anche le opere saggistiche a partire dalla seconda metà del Novecento, far stare la cultura iraniana di allora dentro angusti confini nazionali e linguistici. Insieme al petrolio, si esportavano romanzi e poesie iraniane nei circoli intellettuali parigini; il cinema iraniano veniva prodotto in India o a Berlino, ma consumato nei primi cinema delle aree urbane, a Teheran e a Shiraz.
La rivoluzione del 1979 fu quindi un prodotto di una cultura cosmopolita che cercò – attraverso la propria islamizzazione forzata – di appiattire, ripulire o ridurre il cosmopolitismo attraverso l’uso di forme coercitive che però non sortirono del tutto l’effetto desiderato.
L’Islam sciita rivoluzionario era infatti anch’esso cosmopolita, imbevuto di saperi platonici e aristotelici, reinventato e mescolato a conoscenze della tradizione sufi e della mistica islamica, infine riletto con la lente dei filosofi ed intellettuali post moderni e post coloniali europei, come si è visto nel capitolo precedente.
L’ondata di proteste iniziate nel 2022 rappresenta, quindi, il cosmopolitismo storico che non solo sopravvive, ma che oggi è più che mai determinato dalla potenza dell’iper-connessione, dello stare nella rete, dell’avere sempre più modelli (non necessariamente esclusivamente occidentali), stili di vita e aspirazioni comuni a livello globale. L’esigenza per i giovani è quella di farsi riconoscere e diventare visibili nello spazio pubblico, ma anche di aspirare a una serie di possibilità concrete per la propria vita, che sembrano esistere altrove e che si intravvedono attraverso i media, ma che in Iran sono solo un miraggio. Questi giovani aspirano a smantellare la falsa narrazione secondo la quale l’Islam al governo sarebbe la voce maggioritaria del Paese, se non l’unica voce; attualmente, il governo islamico rappresenta infatti solo una delle molteplici voci dell’Iran contemporaneo, che di fatto è una polifonia.
Stanchi delle forme …