Questo testo nasce da un’amara constatazione: a più di un anno dall’aggressione russa in Ucraina, la guerra condotta dal regime di Putin viene talvolta analizzata non come una guerra neo-imperialista ma come un conflitto territoriale in cui ogni protagonista ha una parte di responsabilità. Questa interpretazione porta logicamente alla richiesta di negoziati di pace immediati. In questa prospettiva, le esigenze del diritto internazionale vengono sminuite o rimandate a un futuro lontano, come suggerito in una tribuna da 300 ricercatori sotto l’egida di Edgar Morin e Rony Brauman:[1] la giustizia internazionale arriverà “quando sarà il momento giusto”. Un modo elegante per dire che… il momento non è arrivato. Nell’Europa di oggi, questa analisi riunisce diverse famiglie di pensiero: formulata dall’estrema destra o da una parte della destra, questo discorso è coerente con il compiacimento di lunga data dei leader nei confronti di un regime autoritario che si presenta come il difensore dei valori tradizionali. È più preoccupante rilevarlo in alcuni ambienti della sinistra, che dovrebbero essere più inclini a manifestare davanti alle ambasciate russe come i loro vecchi fecero contro gli Stati Uniti durante la guerra in Vietnam.
Pertanto, di fronte a una guerra che si fa beffe delle regole internazionali, l’arma del diritto deve essere accompagnata dall’obbligo di aiutare l’Ucraina con l’invio di massicce quantità di armi per ribaltare i rapporti di forza; l’obiettivo è ottenere il ritiro totale delle truppe russe dall’Ucraina, prima di qualsiasi negoziato sulle condizioni di una pace duratura.
Un’operazione molto speciale
L’aggressione dell’Ucraina faceva parte di “un’operazione speciale” il cui scopo dichiarato era quello di porre fine al “genocidio” della minoranza russa nel Donbas da parte dell’esercito ucraino. Putin ha quindi invocato il diritto internazionale che consente l’intervento militare a determinate condizioni per proteggere una popolazione dal genocidio. Esso dovrebbe comunque essere provato, cosa che chiaramente non avviene per quanto riguarda il Donbas. La reale esistenza di una guerra dal 2014 in questa regione non è contestata, ma non è stata fornita alcuna prova di genocidio e l’unica misura discriminatoria che potrebbe essere attribuita alle autorità ucraine è la retrocessione della lingua russa allo status di lingua minoritaria nazionale. D’altronde sono state dimostrate le prove del sostegno del governo russo ai separ…