Un pianeta da rammendare

A fare greenwashing ormai non sono solo le aziende ma anche i governi, che gettano fumo negli occhi dei loro cittadini proponendo piccoli palliativi per nulla incisivi. Ne è un esempio un recente provvedimento preso in Francia per evitare sprechi nell’abbigliamento. Una misura ridicola, che non affronta per nulla una questione ambientale presentata sempre e comunque come un problema futuro, nonostante costituisca un drammatico – e colpevolmente ignorato – presente.
crisi ambientale

Come mai non ci aveva mai pensato nessuno? La crisi ambientale è drammatica, è sotto la pelle, nel sudore di centinaia di milioni di statunitensi del Sud ed europei meridionali. Ma la soluzione c’era, era semplice, praticabile fin da subito, sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno l’aveva vista prima che l’annunciasse Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese. Ci è voluta la sua perspicacia per capire che la crisi che sta affondando la nostra civiltà dipende tutta dai vestiti che non rammendiamo e dalle scarpe che non risuoliamo. Infatti, parlando al Salone della moda, la sua Segretaria di Stato per l’ecologia, Bérangère Couillard, ha annunciato una misura rivoluzionaria: dal prossimo autunno ogni francese che porterà a rammendare il proprio vestito o risuolare le proprie scarpe, invece di buttarli e comprarne altri, riceverà dallo Stato un sussidio tra i 6 e i 25 euro. E siccome lo Stato francese è preciso e la sua burocrazia pignola, ecco come vengono dettagliati i sussidi:

Se il lavoro riguarda le scarpe, il bonus di riparazione sarà di:

8 € per la riparazione di una soletta;

7 € la riparazione del proteggi-tacco;

8 € per la cucitura o l’incollaggio;

18 € per la risigillatura (25 € se la scarpa è in pelle);

10 € per la riparazione di una cerniera.

Se il rammendo riguarda un indumento, è possibile ricevere un’assistenza di:

7 € per rammendare un buco, uno strappo o una lacerazione;

10 € per una fodera (25 € per una fodera complessa);

8 € una cerniera;

6 € per una cucitura disfatta (8 € se la cucitura è doppia).

Si obietterà che prima di passare dal ciabattino o dal rammendatore, il governo francese potrebbe chiedere all’industria tessile e calzaturiera di smetterla di praticare a oltranza l’obsolescenza programmata: potrebbe imporre una sorta di certificato di garanzia (per es. l’obbligo di riparare gratuitamente i capi difettosi per 5 anni), o esigere l’uso di materiali più resistenti. Il governo francese afferma però che l’obiettivo principale di queste misure è educare i consumatori ad adottare un atteggiamento meno scialacquone e dissipativo (e far aprire qualche bottega di rammendo e di ciabattini).

Ora non c’è dubbio che i cittadini vadano educati a comportamenti più ambientalisti. Basta vedere quel che i romani buttano nei cassonetti per la raccolta differenziata: tutto a casaccio, plastica nella carta, organico nel vetro e così via. Ma si potrebbe fare di meglio per educare i cittadini. Negli anni Sessanta del secolo scorso in Italia venne lanciato per il recupero dell’analfabetismo adulto un programma TV intitolato Non è mai troppo tardi, che fu seguito da milioni di spettatori. C’è anche l’esempio delle cosiddette pubblicità progresso, (come quella per far mettere le cinture di sicurezza agli automobilisti, o, più recentemente, il martellamento mediatico per spingere i cittadini a vaccinarsi contro il Covid). Quando vogliono, per educare i cittadini gli Stati sanno fare di meglio che dare una mancetta di 6 Euro una tantum. Basti vedere la mobilitazione mediatica messa in moto per creare consenso intorno all’invio di armi in Ucraina.

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.