Akira Kurosawa, 25 anni dalla morte dell'”Imperatore”

Akira Kurosawa è stato il più occidentale dei grandi cineasti giapponesi, colui che ha saputo coniugare temi squisitamente nipponici e messe in scene tipicamente occidentali. Esotismo e classicità si fondono nella sua arte, fonte di equivoci e terreno di gloria.
Kurosawa

Nel 1950 Rashomon, diretto da Akira Kurosawa, conquista dapprima il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e poi va a vincere l’Oscar come miglior film straniero. Dopo la guerra e la bomba, il cinema giapponese, così, entra in Europa e nel Mondo dalla porta principale. Non si tratterà certo di un successo squisitamente popolare, ma dell’interesse degli appassionati di cinema e della curiosità degli uomini e donne di cultura.

A un giovane di oggi il nome di Kurosawa non dice nulla perché, come aveva predetto lui stesso, “scomparsi i grandi maestri di un tempo, ossia Ozu e Mizoguchi, oggi i veri eredi della tradizione classica giapponese sono gli animatori”, come il caso di Miyazaki certifica pienamente.

Kurosawa resta tuttavia il più occidentale degli artisti cinematografici giapponesi del dopoguerra. Paragonato a John Ford per la capacità di filmare il paesaggio assolato e polveroso, a Fellini per il gusto barocco della messinscena, a De Sica per i suoi film meno conosciuti (quelli girati nei bassifondi delle metropoli), in onore di Kurosawa sono tributati omaggi di ogni tipo. Hollywood trae dal successo internazionale de I sette samurai (1954), un remake western dal titolo non equivocabile, I magnifici sette, con Yul Brinner al posto di Toshiro Mifune, per la regia di John Sturges. George Lucas dà inizio alla saga di Star Wars, nell’episodio IV, con una esplicita citazione dall’incipit de La fortezza nascosta (film che anche Roman Polanski mette tra i suoi preferiti). Ingmar Bergman realizza con La fontana della vergine, premio Oscar per il miglior film straniero nel 1960, un’opera che a suo dire altro non sarebbe che “una miserabile imitazione di Rashomon<…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.