Venezia 80: fra lavoro e poetica, i mezzi di produzione e chi li controlla

L’assenza degli artisti americani in sciopero ha aiutato a tenere alta l’attenzione sulle trasformazioni brutali in corso nel mondo del cinema e dell’arte in generale. Mistificare le loro battaglie dipingendole come una “guerra contro l’intelligenza artificiale” serve solo a nascondere la questione di fondo: chi controlla i mezzi di produzione, con quale obiettivo e come fare per sottrarsi e contrapporsi allo strapotere di quel capitalismo che, ora come allora, funziona per espropriazione e sottrazione, una “accumulazione originaria di capitale” in forma 4.0. Seconda parte del reportage della nostra inviata alla Mostra del cinema di Venezia.

Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema qui a Venezia, Making of del regista francese Cédric Kahn accolto da una platea affollata ed entusiasta di cinefili, come Il sol dell’avvenire e come God is a woman di cui parlavamo nella prima parte di questo reportage è un film sul cinema e sul fare cinema, sui tanti piani narrativi che si sovrappongono e montano fra loro, per parlare del presente come di un incontro/scontro fra punti di vista, fra come lo viviamo e come lo vediamo. Lo sguardo del regista si incrocia ed entra in conflitto – la stessa dinamica del film di Moretti – con quello del produttore, dell’attore, delle maestranze, delle comparse piene di sogni e aspettative, e dei protagonisti stessi della storia. In questo caso, la storia è quella della realizzazione di un film sulla lotta, vera, di un gruppo di operai di una provincia francese, per salvare la loro fabbrica e i posti di lavoro, con l’ambizione di collettivizzare la proprietà. Una vicenda simile a quella della fiorentina Gkn (ed è inevitabile far notare che nessun regista italiano ha ritenuto, finora, di fare un film su Gkn). Il famoso, ma stanco e malandato, regista Simon è riuscito a ottenere i fondi da una grande produzione per realizzare il film. Ma fin dall’inizio tutto va storto. E ancora una volta, esattamente come nel film di Moretti ma invertendo, nel suo caso, l’ordine dei fattori fra speranza e tragedia, la questione centrale verte attorno al finale che si vuole dare alla propria storia. “I film francesi sono sempre tutti tragici!”, dice a un certo punto la figlia del regista al padre, invitandolo a cedere al bisogno di una speranza che i produttori gli hanno imposto come conditio sine qua non per finanziare: gli spettatori sono già così affaticati nella vita quotidiana, nessuno vuole farsi angosciare da una storia senza via d’uscita. Ma lui non crede che la storia di una fabbrica occupata, ai tempi del capitalismo fattosi sempre più feroce, possa finire in altro che in tragedia. E d’altro canto, la lotta stessa degli operai, coinvolti come attori nella produzione, non era finita bene. Il tentativo di collettivizzazione non era andato a buon fine, i padroni erano riusciti a riassorbire quasi tutti gli scioperanti attraverso una ricca offerta di liquidazione. I pochi rimasti, infine, sconfitti, avevano deciso comunque di non restituire al padrone i suoi mezzi di produzione. Avevano bruciato i macchinari, come facevano i luddisti, e impedito il ritorno alla normale attività.

Nel film di Kahn – regista non molto conosciuto in Italia, ma molto amato nel suo Paese – il luddismo non viene mai esplicitamente nominato; tuttavia, è un elemento portante della storia. Del luddismo come storico movimento operaio non è giunta, ai nostri giorni, che la banalizzazione operata dal senso comune, quello di stampo classista e razzista per il quale chi si oppone al progresso è un buzzurro reazionario senza appello. I luddisti vengono dipinti così, come analfabeti ignoranti e arretrati che intendevano lasciarci tutti nel buio della miseria. Nella realtà, il movimento luddista fu una spina nel fianco di non poco conto per il capitalismo che in quell’epoca, ai primi dell’Ottocento, sparava in corsa la sua locomotiva. Fu un movimento operaio organizzato e articolato, che aveva lucidamente identificato il problema non nei mezzi di produzione in sé, bensì in chi li controllava, ovvero il padronato. Sabotare i mezzi di produzione era, com’è in Making of, la risposta necessaria quando non ci si tr…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.