Reportage da Venezia: Favino, le pistole di Nanni Moretti e il popolo kuna (prima parte)

La cornice straordinaria del Lido, per circa dieci giorni, consente al cinema di incontrare il cinema. Storie e visioni di “cineasti contadini” nelle isole caraibiche dialogano virtualmente con le idee, e le contraddizioni, delle grandi produzioni occidentali, dandoci anche la possibilità di riflettere sui nodi della contemporaneità e su quegli schemi di pensiero che imbrigliano la libertà di espressione e lo sguardo che esercitiamo su noi stessi. Pubblichiamo in due parti un reportage analitico della nostra inviata alla Mostra del Cinema di Venezia 80. Qui la prima parte.
Venezia

In una delle scene più divertenti e chiacchierate de Il sol dell’avvenire, l’ultimo film di Nanni Moretti uscito in sala e in concorso a Cannes questa primavera, il regista Giovanni, alter-ego di Moretti, ingaggia una tenzone di ore e ore con i protagonisti di uno dei film prodotti dalla moglie, che stanno per inscenare una sparatoria, allo scopo di evitare che diano il ciak a quella che considera una pericolosa oscenità. La scena è rappresentativa del film intero, la rappresentazione di un corpo a corpo di Giovanni con tutti i protagonisti del mondo del cinema con i quali si trova a interagire: dai produttori Netflix che distribuiscono i loro film “in 190 Paesi” agli attori del film prodotto dalla moglie; dalla protagonista femminile del suo stesso film all’amico produttore francese che lo lascia inguaiato e senza fondi, fino ai produttori coreani, che accettano di finanziare la sua opera apprezzandone il lato disperato e senza redenzione. Finché, come sappiamo, Giovanni non decide di cambiare il suo finale, in un moto di ribellione creativa al mondo intero, contro l’accettazione passiva della Storia stessa.

Per Giovanni, accettare che si possa cambiare la nostra ricezione del passato è il presupposto indispensabile per non arrendersi anche di fronte al presente; viceversa, procedere in modo meccanico, passivo, accettare di far sparare una pistola puntata alla fronte perché sì, una pistola che uccide senza una storia “fa male al cinema” perché fa male al mondo. Fa male perché è pornografico, è senza fantasia, è senza vitalità, senza idee.

All’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia, tuttora in corso al Lido mentre scriviamo, abbiamo visto alcuni film in cui le pistole sparavano perché sì. Facendo male al cinema e al mondo. Ma ne abbiamo visti altri in cui non andava in scena “il male per il male”. In cui andava in scena la vita, persone che la salvano ad altre persone, persone comuni che di fronte al male, ché il male c’è sempre, continuano a prediligere la vita. La solidarietà, la speranza, non in funzione piattamente moralistica o edificante, ma sentimentale, emotiva dunque cognitiva, giacché la nostra specie conosce sempre per il tramite delle emozioni. E abbiamo visto, sia in sala, sia fuori dalla sala, il cinema e chi lo fa continuare a interrogarsi sulla sua funzione nel mondo, in un ideale dialogo con “Il sol dell’avvenire” e con tanta storia del cinema precedente. Continuare a interrogarsi su chi controlla l’immaginario e su come questo può cambiare, su chi controlla i mezzi di produzione e su come questo può cambiare.

È il caso, per esempio, del gioiello che ha aperto la Mostra, il 30 agosto scorso, il film God is a Woman del regista franco-panamense Andrés Peyrot, che racconta le vicissitudini di un altro film: il documentario sul popolo kuna girato negli anni Settanta dal regista francese premio Oscar Pierre-Dominique Gaisseau, che si fermerà sulla loro isola per oltre un anno, costruendo con gli abitanti del posto un rapporto di grande affetto, tanto che sua figlia, Aikiko, lì si fermerà, integrandosi pienamente nella comunità. Il lavoro di Gaisseau nasceva dalla suggestione che i kuna, una comunità a impronta matrifocale che celebra la pubertà femminile come rito d’iniziazione, e la centralità del principio femminile nella vita della comunità, costituissero una sorta di matriarcato. Per una serie di vicissitudini, fu sequestrato da parte di una banca francese e i kuna non poterono mai vederlo. A distanza di mezzo secolo, mentre Peyrot già lavorava per suo conto sul po…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.