La maschera e il volto, Anna Magnani a 50 anni dalla morte

Un ricordo al di là delle apparenze di Anna Magnani, che con la scena della morte della popolana in “Roma città aperta” dà inizio al cinema moderno. Con quel braccio alzato che vuole fermare il tempo che rappresenta davvero il tocco in più. Qui ne ripercorriamo la carriera e l’arte, con un focus particolare sui suoi celebri primi piani, al contempo maschere del teatro classico e volti di una donna fra tutte.

Non è facile aggiungere qualcosa alla fama, se non al mito, di Anna Magnani. Il 26 settembre 2023 cadono i 50 anni dalla morte, che sopraggiunse mentre era assistita dal figlio Luca e da Roberto Rossellini, il quale si occupò dei funerali a cui parteciparono migliaia di persone.

Riguardando oggi la sua filmografia, si ha l’impressione che Anna avrebbe potuto regalare al pubblico molto più dei 40 film – non moltissimi – che ha interpretato, compresi i ruoli secondari di inizio carriera.

La generazione successiva di dive italiane, Mangano-Bosè-Loren-Lollobrigida, non ha il volto sofferto e gli occhi scavati di Anna, incarnando piuttosto l’immagine di un’Italia che avrebbe finito di soffrire, e fa di tutto per non pensare più alle miserie della guerra e del fascismo. Sofia, Gina, Silvana e Lucia incarnano un’Italia che rinasce nel segno di una vitalità prorompente, salutare e immediata, senza più debiti da pagare alla Storia. Un diritto alla felicità piena e raggiunta, già conquistata con la fatica e il dolore, che lo sguardo di Anna invece testimonia e ricorda.

Rossellini consegna Anna immediatamente al mito: la morte della popolana Pina, falciata dai mitra nazisti in Roma città aperta (1945), segna il vero e proprio inizio del cinema moderno. Rivediamola, Anna, mentre corre. Le gambe a mulinello, il fiato trattenuto nelle grida acute e soprattutto il braccio alzato, in segno di stop, di fermata, per avere il tempo di raggiungerlo, quel desiderio di felicità che viene portato via per sempre sul camion dei deportati dove è incatenato il marito. Proprio questo, il braccio alzato, è il tocco in più. Difficile, se non impossibile, appurare se fosse spontaneo, premeditato, oppure suggerito dallo stesso Rossellini. Una cosa certa è che nessuna delle future giovani dive avrebbe sollevato il braccio in questo modo: Loren-Bosè-Lollobrigida-Mangano, tutte con le braccia bene abbassate, pronte a ripararsi al momento della caduta. Non farsi male. Per quanto sono giovani e belle. La scena è famosa. Non si vede il soldato che spara, ma il suono della raffica impro…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.