L’Ecuador e il declino del socialismo del Ventunesimo secolo

Inaspettatamente, le elezioni presidenziali in Ecuador hanno visto la vittoria di Daniel Noboa, esponente liberale e di una delle famiglie più ricche del Paese, che ha ottenuto il 52% dei voti al ballottaggio in una elezione molto partecipata e sentita dalla popolazione, che ha espresso anche la perdita di fiducia nei confronti del correismo, l'espressione ecuadoriana del cosiddetto "Socialismo del Ventunesimo secolo". Un movimento che oggi appare in serio declino, sebbene tuttora vivo.

Dopo il primo turno di domenica 20 agosto, l’Ecuador è tornato alle urne il 15 ottobre per il ballottaggio, con un risultato a sorpresa. La candidata del movimento “correista” Revolución Ciudadana, Luisa González (che al primo turno aveva raccolto il 33% dei voti ed era in testa per la vittoria) è stata infatti battuta da Daniel Noboa (24%), capofila di Acción Democrática Nacional (ADN). Al terzo posto, dunque escluso dal secondo turno, si era posizionato Christian Zurita, il candidato della formazione Construye,che ha sostituito in extremis Fernando Villavicencio, ucciso dieci giorni prima del voto in un attentato, probabilmente organizzato dalla mafia del narcotraffico.

Daniel Noboa, che al primo turno era considerato un outsider, è dunque il nuovo presidente dell’Ecuador. La sua alleanza neoliberale (che si autodefinisce di “centrosinistra”) ha ottenuto circa 5,3 milioni di voti (52%). Sconfitto dunque il partito Revolución Ciudadana, di cui resta ancora eminenza grigia, dall’esilio in Belgio, l’ex presidente Rafael Correa (che ha governato il paese andino per un decennio, dal 2007 al 2017). Un risultato prodotto con oltre l’82% di affluenza dell’elettorato alle urne, una percentuale certamente insolita nei secondi turni.

Daniel Roy-Gilchrist Noboa Azín (questo è il suo nome completo), conquistando la presidenza, porta finalmente al successo il sogno della sua famiglia, la più facoltosa del paese: quello di coniugare lo straordinario potere economico dei Noboa e del loro impero bananiero con il potere politico diretto, sogno pervicacemente ma senza successo perseguito dal padre Álvaro Noboa che si era per cinque volte candidato, anche in alternativa a Rafael Correa, alla massima carica ecuadoriana ora conquistata dal figlio.

Daniel Noboa, che è nato e si è formato negli Stati Uniti (Stern School of Business della New York University, Kellogg School of Management, George Washington University), rappresenta quanto di più lontano dal popolo e dalle sue condizioni di vita. Le circostanze della sua elezione parlano di un Paese che, come gran parte della regione latinoamericana, è da decenni stretto in una tenaglia fra la rapacità delle élite dominanti e i tentativi, contraddittori e per alcuni versi foschi, di costituire a essa alternative politiche e sociali. Per questo vale la pena di ripercorrerne alcuni punti salienti.

Le previsioni dei sondaggi sconvolte dall’assassinio di Villavicencio

Ma le previsioni dei sondaggi sono state smentite soprattutto in conseguenza dell’assassinio di Fernando Villavicencio a inizio agosto; un crimine che ha profondamente scosso l’elettorato. Il suo assassinio ha fatto scalpore non tanto per l’atto di violenza in sé, ma perché si trattava di un candidato alle presidenziali. Infatti, l’Ecuador non è affatto nuovo a fatti di questo genere: durante le elezioni comunali svoltesi nella scorsa primavera si erano verificate decine di episodi di analoga violenza contro candidati, tanto che uno di questi è stato eletto post mortem.

Villavicencio, prima di diventare giornalista e poi di candidarsi in politica, era stato un sindacalista dei lavoratori del petrolio, noto come oppositore del correismo, di cui denunciava complicità e tolleranza con diverse strutture della criminalità organizzata. Il suo partito, Construye, era stato fondato a seguito di una scissione dal movimento correista Alianza País. Al suo interno ci sono diversi ex militari ed ex poliziotti, che sosterrebbero l’instaurazione di una giunta politico-militare come soluzione alla crisi della società. Il capolista di Construye alle elezioni per l’assemblea nazionale è stato Patricio Carrillo, ex capo della polizia, protagonista della repressione dei movimenti popolari del 2019.

Villavicencio, anche se non c’è stato nessun endorsement formale, era il candidato che più si collocava in una linea di continuità con il presidente anticorreista uscente Guillermo Lasso. Si caratterizzava come “incorruttibile” e incentrava la sua propagan…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

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Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

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