I sogni di libertà di Shahnaz Jahangiri, per la sua tribù, il suo Iran e per la Palestina

Sognare libertà da ogni regime persecutorio e battersi per questo sogno. È ciò che ha segnato l'esistenza di Shahnaz Jahangiri, rifugiata dall'Iran per essersi opposta al regime della sharia, dopo essere stata per decenni perseguitata anche dallo shah, come appartenente alla tribù nomade dei Qashqai. Oggi vive in Veneto e racconta la sua storia motivando lo schieramento netto a fianco del popolo palestinese contro l'occupazione e l'apartheid israeliano.

Il nome Shahnaz nella lingua persiana significa “orgoglio del re”, è composto dai termini shah (re) e naz (orgoglio); Shahnaz Jahangiri, invece, ha dovuto, fin da quando era piccola, combattere contro i poteri gerarchici, tra cui anche quello dello shah, che ha perseguitato la tribù d’origine della sua famiglia. Rifugiata politica, ora cittadina italiana, è in Italia da trent’anni dopo essere scappata dall’Iran e dalla dittatura di Khomeini che l’aveva incarcerata. Non ha mai smesso di battersi per i diritti umani, e oggi si schiera e scende in piazza in favore del popolo palestinese.

“Sono nata e cresciuta in Iran, appartengo alla tribù Qashqai, un popolo prevalentemente nomade di lingua turca presente in Iran, perseguitato prima dallo shah Mohammad Reza Pahlavi, e successivamente dal regime di Ruhollah Khomeini. A causa di questa persecuzione molti componenti della mia tribù sono stati costretti ad allontanarsi dalla regione in cui vivevano e a darsi all’esilio, altri sono stati uccisi”.

In Iran, racconta, sono presenti da migliaia d’anni minoranze che pacificamente convivono assieme, anche se non condividono la stessa lingua e hanno tradizioni e religioni diverse; ma la monarchia prima e gli ayatollah dopo, hanno sempre cercato di eliminare e isolare le minoranze, in quanto perseguivano, e perseguono, un tipo di vita che si discosta dai modelli di vita promossi sia dallo shah sia dagli ayatollah. “La mia tribù è stata perseguitata per generazioni” così dice Shahnaz che ricorda come, a causa di queste persecuzioni, ai primi del Novecento la sua famiglia è stata obbligata all’esilio e a trasferirsi a Teheran. “Anche giunti a Teheran però la vita per la mia famiglia non fu più semplice, alcuni dei miei famigliari, come mio zio, morirono in combattimento. Putroppo per la mia famiglia non c’è mai stata pace perché anche in quegli anni continuavano ad essere perseguitati in quanto Qashqai.

Mi ricordo che quando avevo 4 anni, quindi eravamo agli inizi degli anni Sessanta: trovai…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.