Jacques Tati, l’uomo invisibile

Così come Charlot, Stanlio e Ollio, Totò e Buster Keaton, anche Jacques Tati/Hulot, l’attore e il suo personaggio, sono un tutt’uno indistinguibile. Essi vanno al di là di ogni inibizione, sfidano le leggi naturali camminando contro la folla, sospesi per aria, spesso spaesati, disadattati nell’adattarsi, e usano il loro corpo come burattini sempre sull’orlo di spezzarsi, ma predisposti invece a rimanere interi. Il corpo macchina imperfetto in un mondo di macchine perfette.

“La comicità esiste già fuori di noi. Il problema è saperla cogliere. Le occasioni sono infinite”
(Jacques Tati)

Se si scorrono i titoli di coda del film “Solo una notte” del 1945, si noterà che il nome di Jacques Tati è l’ultimo a comparire, per un piccolo ma fondamentale ruolo: il fantasma. Un essere impalpabile, ma presente nella sua assenza.

La stessa identità che Tati, come un disegnatore, ritaglia per sé stesso sin dall’inizio della sua carriera, ai tempi del music hall e del vaudeville: seppur con un corpo importante, quasi ingombrante per altezza o per grandezza di mani e piedi, egli appare sempre leggero, leggiadro, impercettibile, praticamente invisibile, ma determinante per lo svolgersi delle trame.

L’estetica elegante e l’elasticità corporea del suo Io dovevano aver preso origine dai due mondi paralleli della sua infanzia e adolescenza: l’apprendistato nella bottega di corniciaio d’arte del padre di origine russa (Tatischeff è il suo cognome completo), e lo sport, il rugby in particolare, ambito in cui il giovane Jacques si fa le ossa non solo sul campo da gioco: è negli spogliatoi, dopo le partite, che egli intrattiene la squadra, inscenando esilaranti pantomime in cui rifà il verso a sé stesso e agli altri. Decenni dopo, nel pieno della popolarità, in una delle sue numerose apparizioni sul piccolo schermo italiano, proprio con parodie sportive delizierà gli spettatori della celebre “Canzonissima”, mimando in una maniera impressionante una partita di tennis al “rallenty”, lasciando così estasiati gli spettatori del sabato sera.

Il movimento e il gioco sono i due binari su cui farà crescere la sua capacità visionaria. Contro i voleri familiari, si imbarca, a metà anni Trenta, con la troupe teatrale al seguito della celebre cantante Marie Dubas, a partire dal prestigioso music hall parigino ABC, per poi spopolare in tutta la Francia.

Tati si fa “ponte” tra l’antica tradizione del burlesque nella commedia dell’arte e la moderna comicità da strada da lui infarcita di una poetica rurale, sulla scia di suoi contemporanei, tutti però appartenenti per lo più al mondo anglosassone: Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stan Laurel & Oliver Hardy. In Europa, e nei paesi latini in particolare, è lui invece ad emergere, unendo in sé il comico e il drammatico derivatigli dai suoi due maggiori ispiratori: Little Tich, nano saltimbanco del music hall inglese dei primi del ‘900 (nel film muto di quest’ultimo, “Big Boots”, si ravvisano le acrobazie corporee riprese poi dal giovane Jacques) e Robert Bresson, regista, maestro del minimalismo, che ispirerà al nostro quel tocco di essenzialità che contraddistinguerà tutte le sue produzioni cinematografiche.

Tutti questi semi verranno irrigati grazie soprattutto ad una innata indole poetica che si tocca con mano nella fotografia delle sue pellicole da regista e attore protagonista: dal primo…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

Una nuova generazione di femministe russe, oggi quasi tutte riparate all’estero dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, sta svelando attraverso un nuovo uso del linguaggio poetico il trauma rappresentato per le donne dalla violenza maschile, all’interno di una società patriarcale come quella russa che, con il pieno avallo dello Stato, ritiene lo spazio domestico e chi lo abita soggetti al dominio incontrastato dell’uomo. La popolarità della loro poesia e del loro impegno testimonia la reattività della società russa, nonostante la pesante militarizzazione.