(TRIPOLI, Libia) Alle 3 del pomeriggio di venerdì 3 novembre, “il Sayyed” ha parlato. Le scuole e gli uffici del sud del Libano sono rimasti chiusi, in previsione di una rapida escalation di violenza che ci si aspetta ormai da settimane, e che in molti villaggi è già esplosa, sfollando già 30mila persone verso aree più sicure. Nella periferia sud di Beirut, in piazza Ashura, dagli altoparlanti risuonano i canti di guerra di Hezbollah, mentre su uno schermo gigante vengono visualizzate immagini delle operazioni dei militanti e dell’attacco di Hamas contro Israele dello scorso 7 ottobre. A destra dello schermo viene visualizzato il testo: “martiri sulla via di Gerusalemme”, mentre a sinistra sono mostrati i volti di circa 50 membri del partito uccisi dall’inizio del conflitto.
Alle tre linee rosse precedentemente annunciate dal partito come invalicabili dal nemico israeliano, pena la ritorsione da parte delle milizie filoiraniane – e cioè la distruzione di Hamas, lo sfollamento della popolazione di Gaza e la distruzione dell’enclave costiera – se ne è aggiunta una quarta: l’escalation militare al confine libanese, specialmente alla luce delle decine di miliziani morti in battaglia nelle ultime settimane, alla cui gloria il leader Nasrallah ha dedicato l’apertura dell’atteso discorso, reclamando, con toni fortemente retorici, il loro posto di “vincitori in paradiso”. Nella “sottomissione al martirio”, ha affermato, “si cela la nostra vera forza, irremovibile convinzione, di essere pronti al sacrificio”.
È la nota strategia oratoria dei discorsi di Hassan Nasrallah, abile comunicatore e veicolo di ambigui messaggi politici, spesso investiti di termini religiosi.
Aprendo alle cause che hanno portato allo scoppio dell’Operazione Al–Aqsa – e cioè i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, l’occupazione della città santa di Gerusalemme, l’assedio della Striscia di Gaza e l’espansione degli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata – e riconoscendone la giustizia e riuscita, ha affermato: “questa operazione è il risultato di una decisione e di un’esecuzione al cento percento palestinese”. Ne ribadisce, dunque, il supporto ma negando qualsiasi coinvolgimento regionale o internazionale, smentendo la teoria avanzata da molti che l’operazione fosse al servizio degli obiettivi iraniani nella regione circa i negoziati sul nucleare: “La Repubblica Islamica dell’Iran sostiene apertamente i movimenti di resistenza in Libano, Palestina e nella regione, ma non esercita il controllo sulla loro leadership”, afferma Nasrallah, rifacendosi al numero senza precedenti di miliziani uccisi come prova della genuinità e indipendenza della resistenza libanese, così …