L’Ucraina ha bisogno di armi ma soprattutto di aiuti e solidarietà

Le carovane di aiuti materiali all'esercito sono uno dei tanti modi di aiutare la causa della resistenza ucraina che persone provenienti da ogni parte d'Europa hanno trovato. Attraverso collette e donazioni acquistano automobili che riempiono di cose di prima necessità sanitaria e militare, e viaggiano fino al fronte per lasciare in regalo l'automobile con il suo contenuto. La giornalista franco-polacca Anna Husarska, per molti anni staff writer del New Yorker, racconta qui il suo viaggio solidale attraverso un diario per immagini, con un epilogo in esclusiva per i lettori italiani.

Quando la Russia di Vladimir Putin invase l’Ucraina nel febbraio 2022, io ero molto lontana, a fare immersioni in Madagascar. Avendo deciso di smettere di raccontare i conflitti, stavo scrivendo un libro su Cuba. Ma quando la guerra è scoppiata vicino alla mia Polonia, sono stata sopraffatta dalle dimensioni della mostruosità e non sono riuscita a starne lontana.
Come molti altri polacchi, avrei potuto concentrarmi sull’aiuto ai rifugiati e fornire orsacchiotti, pannolini e latte artificiale ai bambini ucraini in fuga con le loro madri attraverso il confine polacco. Ma data l’evidente ingiustizia dell’invasione su larga scala e la mia esperienza di corrispondente di guerra di lunga data, ho deciso invece di sostenere l’esercito ucraino.
Ho chiamato un amico, uno storico di Odessa e gli ho chiesto di cosa ci fosse più bisogno. Mi ha risposto con una sola parola: lacci emostatici. Ho cercato su Google “lacci emostatici”, ho trovato un fornitore a Varsavia, ho comprato due valigie e sono volata a Chisinau, in Moldavia. Un passaggio di frontiera, quattro ore in un taxi collettivo (o “maršrutka”) et voilà: ero a Odessa con i lacci emostatici. Poco dopo qualcuno ha avuto bisogno di un autista per attraversare il confine e consegnare un’auto alle forze ucraine. Poi mi è stato chiesto di trasportare alcuni droni. Subito dopo mi sono ritrovata a svolgere il ruolo di addetta agli approvvigionamenti militari non ufficiali per le unità in prima linea.

In questi giorni sto lavorando con la mia amica Olga Špak, una biologa marina che nel febbraio 2022 si trovava a Mosca per lavorare a un piano di conservazione per le balene bowhead per conto dell’Accademia delle Scienze russa. Due giorni prima dell’invasione su larga scala, ha lasciato tutto alle spalle ed è tornata in Ucraina, nella sua città natale, Charkiv. Ora lavoriamo in squadra: Olga raccoglie le richieste delle unità militari e acquista le provviste per conto di una ONG con sede negli Stati Uniti chiamata Assist Ukraine, che raccoglie donazioni private per fornire gli aiuti necessari, tra cui attrezzature mediche e equipaggiamento militare non letale, come elmetti e visori notturni. Io raccolgo ciò che serve in Europa o negli Stati Uniti, lo acquisto e lo porto in Ucraina. Spesso Olga e io ci rechiamo in prima linea per consegnare le attrezzature. Spesso, anche il veicolo che guido è una donazione.

Finora ho acquistato e consegnato sette veicoli alle truppe ucraine e attualmente sto raccogliendo fondi per un ottavo: un furgone frigorifero richiesto dalla 127ª brigata per l’evacuazione delle salme. Ho anche recapitato una dozzina di droni Mavic 3 acquistati su eBay e quasi 6.000 lacci emostatici, prima acquistati negli Stati Uniti per 25 dollari l’uno e portati a Varsavia da amici che viaggiavano in business class con una generosa franchigia per i bagagli. Ora compro lacci emostatici da un produttore locale ucraino per 13 dollari l’uno.

Si tratta di una rete di consegna totalmente informale, che cerca di colmare le lacune delle forniture dell’esercito ucraino. Scattiamo molte foto durante i nostri viaggi, in parte perché usiamo foto e brevi video per documentare le forniture che acquistiamo con i fondi dei donatori, al fine di dimostrare che sono state consegnate.

I miei viaggi spesso coprono migliaia di chilometri. Questa particolare consegna di un’auto (la mia sesta) ha richiesto un viaggio di 2.500 km circa da Bristol, nel Regno Unito, a Zolochiv, nella regione di Kharkiv; Olga si è unita a me per la parte ucraina del viaggio. Siamo state fermate dalla polizia ucraina un paio di volte (io guido veloce), ma l’immatricolazione dell’auto, che indicava che l’utente finale era un’unità militare, ha fatto sì che la polizia ci lasciasse andare con un paterno “state attente” piuttosto che con una multa per eccesso di velocità.

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.