Alessandro e Lorenzo Orsetti, un’eredità di ideali passata di figlio in padre

Nel 2019 suo figlio Lorenzo Orsetti, militante internazionalista per il confederalismo democratico e parte delle milizie curde dell’YPG impegnate nella lotta all’Isis, è caduto in battaglia ucciso proprio da un terrorista del sedicente Stato islamico. Da allora Alessandro Orsetti ha raccolto l’eredità del figlio e viaggia lungo l’Italia incontrando le persone per parlare degli ideali e delle battaglie di Lorenzo, che sono diventate anche le sue, e le racconta in questa intervista.
Lorenzo Orsetti

È il 24 settembre del 2017 e Lorenzo Orsetti (“Orso” per gli amici di Firenze) sta viaggiando verso la Siria del Nord-Est per unirsi all’Unità di Protezione Popolare (Yekîneyên Parastina Gel, YPG), ala armata del Partito dell’Unione Democratica in Siria, per portare avanti la causa kurda, sostenere il Confederalismo democratico e combattere l’Isis che sta minacciando la popolazione del Nord-Est della Siria (il Rojava). “Tanto per essere chiari: non sono un pazzo”, scrive nei suoi diari diventati poi il libro Orso. Scritti dalla Siria del Nord-Est. “Non sono un incosciente, uno che si trova qua per caso, uno in cerca di fama o un invasato militare. La rivoluzione curda è la cosa più vicina ai miei ideali che abbia mai trovato, ed è un piacere e un onore prenderne parte”.

Lorenzo, “Tekoşer Piling”, questo il suo nome da combattente, è un partigiano, anarchico, internazionalista e antifascista, crede fortemente nel Confederalismo democratico sul quale è fondata la società del Rojava; una società che, opponendosi al capitalismo e alle gerarchie politiche ed economiche, pone le sue radici in una democrazia decentrata i cui capisaldi sono l’uguaglianza di genere (in ogni carica istituzionale di qualsiasi livello sono presenti un uomo e una donna) e l’ecologia sociale (ovvero vivere in simbiosi con la natura). Attuato dal rivoluzionario e filosofo kurdo Abdullah Öcalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) da più di 25 anni in isolamento nell’isola-carcere di Imrali in Turchia, il Confederalismo mira alla convivenza pacifica e collaborativa tra etnie e tribù diverse, tra uomini e donne e tra esseri umani e natura; e il progetto sociale della regione autonoma del Rojava guidata dai kurdi sta portando avanti proprio questo modello alternativo di vivere.

Modello in cui credeva anche Lorenzo, ma che purtroppo è costantemente minacciato dai governi egemonici di Turchia e Siria, oltre che dal gruppo terroristico dell’Isis.

E nella lotta contro l’Isis, dopo aver difeso il popolo kurdo e i loro territori, Lorenzo Orso-Tekoşer Piling cadrà il 18 marzo 2019 a Al-Baghuz Fawqani, al confine tra la Siria e l’Iraq, per mano di un miliziano dell’Isis.

Dopo la morte del figlio, seppur con il dolore che gli ha creato, Alessandro Orsetti si è avvicinato alla causa del popolo kurdo approfondendo la storia e i contenuti della rivoluzione, cercando di divulgare le sue conoscenze relative alla Siria del Nord-Est, acquisite grazie ai racconti tramandati da Lorenzo e ai contatti personali con i militanti e gli autoctoni presenti nel Rojava. Alessandro sostiene l’autogestione che si sta realizzando nel Rojava e viaggia in Italia e all’estero per presentare la missione di Lorenzo.

Silvia Cegalin: Iniziamo parlando di Lorenzo, perché se oggi ci ritroviamo a scrivere sui kurdi è anche grazie al contributo che lui ha dato alla causa kurda del Rojava. In molti hanno descritto Lorenzo come un modello da seguire, in che modo la sua missione è stata importante per il popolo kurdo?

Alessandro Orsetti: L’esperienza di Lorenzo è stata molto importante per vari motivi. Intanto, è bene ricordarlo, Lorenzo è partito per la Siria del Nord-Est come internazionalista, quindi seguendo quel flusso di giovani e meno giovani provenienti da tutto il mondo e che negli anni hanno portato il loro contributo alla lotta del popolo kurdo. Lorenzo stesso mi spiegò, prima della sua partenza, che per i kurdi questa vicinanza era importantissima, perché testimoniava un riconoscimento alla loro esperienza. Tutti loro si erano formati a questa idea di internazionalismo, attraverso quelle che i kurdi chiamano “accademie”, oltre che, ovviamente, in momenti di riflessione profonda, di critica e autocritica che avviene nelle assemblee, e che hanno accompagnato tutto il suo percorso nella Siria del Nord-Est.

Al tempo stesso, l’apporto di questi internazionalisti non è stato solo teorico: molti di loro, nel servizio civile e militare, hanno contribuito concretamente alla realizzazione di strutture sanitarie ed educative e nella gestione dei servizi dell’attuale società kurda. E proprio nella difesa di quella società che anch’essi avevano contribuito a realizzare, in molti, sia sotto i bombardamenti sia in combattimento, sono caduti come Lorenzo.

Un altro aspetto che Lorenzo mi aveva sottolineato era che al rientro nelle loro case, nei loro Paesi d’origine, gli internazionalisti sarebbero stati considerati come “ambasciatori”, dato che avrebbero potuto raccontare la loro esperienza attivando solidarietà e sostegno in favore dei kurdi. Questo aspetto purtroppo non si è potuto sviluppare perché in molti Stati la loro esperienza è stata considerata illegale e, di conseguenza, molti internazionalisti o hanno condiviso le proprie esperienze a gruppi e realtà ristrette, oppure non ne hanno parlato affatto.

Per questo l’esperienza di Lorenzo è stata ancor più importante, perché lui ci “ha messo la faccia”, accettando interviste e dichiarando che avrebbe affrontato le conseguenze delle sue scelte.

Cegalin: In Italia l’internazionalismo è stato considerato illegale? E quali rischi ha corso Lorenzo nell’esporsi per far conoscere la sua esperienza da combattente?

Orsetti: Nel 2019 alcune Procure italiane (in particolare il Tribunale di Torino) hanno posto l’attenzione su alcuni internazionalisti al loro rientro dalla Siria del Nord-Est: la cornice legislativa che lo ha reso possibile è stata quella della Legge Rocco, nata in epoca fascista, tuttora in vigore, che aveva come obiettivo “tutelare l’ordine pubblico”. La rivoluzione dei kurdi, considerata eversiva per la sua vicinanza al Pkk, ha fatto sì che coloro che vi hanno partecipato fossero considerati soggetti pericolosi, persone quindi da controllare; questo non perché avessero fatto qualcosa di illegale in Italia, ma perché a causa del loro addestramento militare e del loro legame con movimenti ambientalisti e alternativi (NoTav, antimilitaristi, centri sociali…) “avrebbero potuto fare qualcosa di tendenz…

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