Il Sessantotto tedesco. Intervista a Hans Magnus Enzensberger

Il 24 novembre 2022 moriva lo scrittore e militante Hans Magnus Enzensberger. Per ricordarlo e omaggiarlo a un anno di distanza dalla sua scomparsa, ripubblichiamo un’intervista contenuta nel volume “L’immaginazione senza potere. Miti e realtà del ‘68”. Edito dalla casa editrice Mondo Operaio e curato dal giornalista Marco d’Eramo, il libro uscì nel 1978, a un decennio di distanza dall’erompere del movimento.

Hans Magnus Enzensberger – Perché chiedi proprio a me[1] e non ai protagonisti della Studenten Bewegung [‘movimento studentesco’, ndr] di parlare del ’68?

Marco D’Eramo Per un motivo generale: nella protesta di quegli anni l’elemento “rivoluzione culturale” fu molto forte. Perciò mi sembra giusto parlarne con chi la cultura la fa e la vive. Per un motivo tedesco poi: mentre in Italia e in Francia la politicizzazione era preesistente ed esterna all’ambiente intellettuale e al mondo universitario, mi sembra che in Germania la protesta sia proprio partita dall’intellighenzia e dalle Università per diffondersi, limitatamente d’altronde, tra gli altri strati sociali. Infine, per un motivo personale: come fondatore della più importante rivista teorica della nuova sinistra tedesca, il “Kursbuch”, anche tu hai avuto un ruolo di primo piano nella protesta tra il ’65 e il ’68.

Enzensberger – Non vorrei che si appioppassero sulle spalle degli intellettuali pesi che l’intellettuale non può portare. Diffido della tendenza a sostituire, simbolizzare un movimento sovversivo, di resistenza o di opposizione sistematica (che in un determinato contesto forse non esiste) secondo le modalità intellettuali, cioè scrivendo, facendo discorsi: mi sembra poco serio. Ecco, è questo il limite che mi pongo per un discorso sul ’68.

D’Eramo – Ma questo “sostituismo” è proprio una caratteristica della vita politica tedesca, perciò conta.

Enzensberger – Sì. Ma c’è anche un’allergia. Una delle lezioni del ’68 è proprio che questo sostituismo non funziona non solo a un livello propriamente politico, di avanguardie organizzate, ma nemmeno sul piano cultural-politico.

D’Eramo – Perché?

Enzensberger – Facciamo due passi indietro. In Germania Occidentale, nel periodo dell’immediato dopoguerra e della “ricostruzione”, ci sono stati solo due tipi di opposizione. Il primo nucleo residuale di opposizione fu l’espressione del comunismo di osservanza sovietica che era impiantato prima della divisione del Paese e che fu represso amministrativamente con le leggi di Adenauer nel 1953. Il secondo nucleo fu una opposizione intellettuale basata su una piattaforma di generico antifascismo, meno di fatti che di opinione. Un antifascismo a posteriori e non di resistenza. Ma questi intellettuali fecero un lavoro importante. In assenza di ogni altro tipo di opposizione vera e propria, questi scrittori furono gli unici a fare un discorso critico, per esempio quando ci fu la questione della rimilitarizzazione della Germania. Però furono molto isolati. Fu una minoranza ibernata, anche se con un resto di prestigio di cui godeva la cultura, che non fu del tutto inutile; e lo si vide quando nei tardi anni Sessanta, per ragioni obiettive di grande portata, si formò un movimento sociale di opposizione nelle Università e anche fuori.

D’Eramo – Dove?

Enzensberger – Non dimenticare che, finita la fase della ricostruzione, con la prima leggera recessione, l’atteggiamento del sindacato cambiò. Nel ’70 ci fu la prima ondata di scioperi selvaggi: il nesso con il movimento del ’68 non era certo immediato, era sotterraneo, ma c’era. Ci furono anche fattori di politica estera, ma non possiamo parlare di tutto.

D’Eramo – Però la politica internazionale mi sembra importante: in Germania comunismo e socialismo sono vissuti come fenomeni di politica estera.

Enzensberger – Una politica estera molto curiosa perché fa parte della vita nazionale; c’è un altro paese tedesco qui accanto [si riferisce alla DDR, la Germania dell’Est all’epoca ancora esistente, ndr] che è comunista. L’anticomunismo tedesco si basa su una massiccia esperienza concreta, vissuta anche dalla classe operai…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.