Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.

Gli studi sul fascismo e le donne incontrano in questo momento un forte interesse: ne è un esempio il recente convegno della Società delle storiche sul tema “Donne, genere, fascismo. Itinerari di ricerca e nuove proposte interpretative”, chiuso da Victoria de Grazia, pioniera degli studi in questo campo, con un intervento dal titolo Fascismo e donne, fascismo e genere: da storia nazionale a storia internazionale. E a settembre è arrivata in libreria la nuova edizione, aggiornata e ampliata, della Storia delle donne sotto il regime fascista della stessa autrice, già docente alla Columbia University di New York.

Come dice de Grazia stessa nella prefazione, molte cose sono cambiate dalla prima edizione, uscita nel 1993; tra cui il fatto, allora del tutto impensabile, che in Italia è ora Presidente del Consiglio una donna di destra, nata nel dopoguerra e cresciuta politicamente nelle file delle minoranze neofasciste, ai tempi dell’egemonia culturale della sinistra, quando mai nessuno avrebbe previsto un ritorno della estrema destra al potere; il tutto nel clima odierno di massiccio avanzamento delle destre in Europa e in USA, e di proposte di cambiamenti costituzionali in Italia che inducono molti a chiedersi se non stiamo andando verso una nuova forma di fascismo, sposato stavolta alle vecchie istituzioni democratiche svuotate, come il fascismo storico s’era appoggiato alla monarchia e al compromesso con la Chiesa.

Ora questa rinnovata Storia delle donne sotto il regime fascista ci consente di risalire alle origini e mettere a fuoco, settore per settore, l’evoluzione del rapporto del fascismo con la componente femminile della popolazione italiana, durante il ventennio. Esaminando l’ideologia sessuale, la politica del lavoro e della famiglia, il rapporto ambiguo col cattolicesimo, le politiche giovanili e culturali, le organizzazioni di massa e del tempo libero, l’impatto con la realtà coloniale e con la guerra, l’indagine di Victoria de Grazia spazia a largo raggio, e ricopre in modo documentato ed esauriente tutti gli aspetti della complessa interazione del fascismo col mondo femminile, che andò modificandosi nel tempo.

Appena salito al potere, infatti, il fascismo si applicò innanzitutto a consolidarsi e a costruire un regime totalitario e pervasivo; dovette perciò tra l’altro far piazza pulita o riassorbire quanto si era mosso e si muoveva ancora in direzione dell’emancipazione femminile. Di particolare interesse sono a questo proposito le pagine che ripercorrono le disorientate e variegate reazioni al fascismo delle minoranze femministe, che nell’Italia degli anni Venti avevano comunque raggiunto una certa presenza, sia nelle leghe socialiste che nella borghesia più avanzata. Disperse e represse le socialiste e le comuniste, restavano le borghesi. A quell’epoca erano tutte concentrate sul diritto di voto: Mussolini prima lo promette, poi tergiversa, poi elimina il problema volatilizzando le elezioni. Spiazzate di fronte al nuovo corso, definito rivoluzionario, non poche donne esitano, poi fanno buon viso a cattivo gioco e cascano in trappola, si convincono cioè che abbracciando risolutamente il regime si possa conseguire comunque un decisivo avanzamento della condizione femminile e ottenere un riconoscimento nelle nuove istituzioni; nonostante le ripetute delusioni, continueranno a lungo a sperare che prima o poi il duce apra ulteriori orizzonti alle capacità femminili ancora mortificate.

Già qui viene a galla quanto l’approccio del fascismo alle donne fosse bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, insomma a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico che disprezza l’individualismo borghese; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Scorrendo le pagine di questo libro appassionante, vedremo come il fascismo cercherà di disinnescare questo potenziale confitto, colpendo senza pietà il lavoro femminile, anche nel campo dell’insegnamento, o comunque lasciando che le affermazioni sulla importanza delle donne restassero sulla carta e nell’ambito della propaganda, ma guardandosi bene dal dare voce in capitolo alle donne stesse, anche nelle organizzazioni messe in piedi per loro dal regime.

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.