Barbara ha la voce trafelata quando, verso le sei di sera, telefona dalla macchina dopo aver finito il suo turno di lavoro in un centro commerciale di Roma. Deve essere a casa in tempo per accompagnare il figlio agli allenamenti. “Sono giorni di fuoco”, dice. Non è soltanto per via dei turni massacranti dello shopping natalizio: “Qui è sempre Natale – racconta –. Finisce una festa dello shopping e ne inizia un’altra. Abbiamo una seria carenza di personale: nel nostro negozio, grande duecentocinquanta metri quadrati, ci vorrebbero almeno venti persone;, invece, siamo la metà. Siamo stressate, ma dobbiamo sempre sorridere, altrimenti i clienti lasciano le recensioni negative e veniamo riprese. Tutto questo per mille euro al mese [netti]”.
Barbara ha 40 anni, è separata e ha due figli. È una delle più di cento commesse che, da mesi, partecipa a flash mob, raccolte firme, assemblee e scioperi indetti dai sindacati confederali e di base contro le aperture nei giorni tradizionalmente dedicati al riposo e alle festività. Sebbene la Cassazione abbia stabilito con una sentenza del 2015 che il lavoro festivo non è obbligatorio e che è necessario il consenso della dipendente per la prestazione in occasione di ricorrenze laiche o religiose, Barbara denuncia: “Lavoro qui da quindici anni, sei giorni su sette. E il giorno libero non è mai né sabato né domenica. Siamo stanche”.
I permessi e la retribuzione sono temi che toccano direttamente la questione del rinnovo del Contratto collettivo nazionale del lavoro del commercio scaduto nel 2019 e che riguarda circa 7 milioni di persone. “I salari sono fermi ad allora e le proposte salariali di aumento non sono adeguate all’inflazione” spiega Marta Liguori di Filcams Cgil. Di fronte alla mancata risposta delle organizzazioni datoriali alle richieste avanzate dai sindacati, nella giornata del 22 dicembre Filcams, Fisascat e Uiltucs e Cobas hanno indetto due scioperi.
Graziella Barazzuoli, sindacalista dei Cobas Commercio, ricorda che “molti dipendenti del commercio hanno lavorato durante la pandemia con il contratto scaduto. Li chiamavano eroi. Finito lo stato d’emergenza, i soldi per il rinnovo non c’erano più”. Le proteste dei sindacati non sono ascoltate dalle associazioni di categoria. Infatti, s<…