La lotta delle commesse contro i colossi dello shopping

“Lavorare per vivere, non vivere per lavorare”. È lo slogan con il quale addette e addetti dei centri commerciali da mesi denunciano, attraverso scioperi e vertenze, le condizioni inumane a cui li obbliga la dittatura dello shopping e del profitto: orari spezzati che allungano di fatto la giornata di lavoro a oltre 12 ore, turni che rendono impossibile conciliare il lavoro con il tempo libero e personale, impossibilità di godere delle festività, negazione del diritto al riposo. Condizioni alienanti che non trovano altra ragione se non l'ostinata reazione padronale di fronte alla necessità di ripensare il business as usual.

Barbara ha la voce trafelata quando, verso le sei di sera, telefona dalla macchina dopo aver finito il suo turno di lavoro in un centro commerciale di Roma. Deve essere a casa in tempo per accompagnare il figlio agli allenamenti. “Sono giorni di fuoco”, dice. Non è soltanto per via dei turni massacranti dello shopping natalizio: “Qui è sempre Natale – racconta –. Finisce una festa dello shopping e ne inizia un’altra. Abbiamo una seria carenza di personale: nel nostro negozio, grande duecentocinquanta metri quadrati, ci vorrebbero almeno venti persone;, invece, siamo la metà. Siamo stressate, ma dobbiamo sempre sorridere, altrimenti i clienti lasciano le recensioni negative e veniamo riprese. Tutto questo per mille euro al mese [netti]”.

Barbara ha 40 anni, è separata e ha due figli. È una delle più di cento commesse che, da mesi, partecipa a flash mob, raccolte firme, assemblee e scioperi indetti dai sindacati confederali e di base contro le aperture nei giorni tradizionalmente dedicati al riposo e alle festività. Sebbene la Cassazione abbia stabilito con una sentenza del 2015 che il lavoro festivo non è obbligatorio e che è necessario il consenso della dipendente per la prestazione in occasione di ricorrenze laiche o religiose, Barbara denuncia: “Lavoro qui da quindici anni, sei giorni su sette. E il giorno libero non è mai né sabato né domenica. Siamo stanche”.

I permessi e la retribuzione sono temi che toccano direttamente la questione del rinnovo del Contratto collettivo nazionale del lavoro del commercio scaduto nel 2019 e che riguarda circa 7 milioni di persone. “I salari sono fermi ad allora e le proposte salariali di aumento non sono adeguate all’inflazione” spiega Marta Liguori di Filcams Cgil. Di fronte alla mancata risposta delle organizzazioni datoriali alle richieste avanzate dai sindacati, nella giornata del 22 dicembre Filcams, Fisascat e Uiltucs e Cobas hanno indetto due scioperi.

Graziella Barazzuoli, sindacalista dei Cobas Commercio, ricorda che “molti dipendenti del commercio hanno lavorato durante la pandemia con il contratto scaduto. Li chiamavano eroi. Finito lo stato d’emergenza, i soldi per il rinnovo non c’erano più”. Le proteste dei sindacati non sono ascoltate dalle associazioni di categoria. Infatti, s<…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.