Lenin e Bogdanov: storia di due compagni che divennero rivali

Prima della vittoria della rivoluzione d’Ottobre e degli avvenimenti del 1917, la leadership del partito bolscevico era stata condivisa da Lenin con altre personalità di spicco, fra cui in primo luogo quella di Aleksander Alexandrovich Bogdanov. Ma fra differenze di natura filosofica e politica e una generale tendenza a consumare il partito in dispute fra fazioni, il settarismo politico prevalse e quella che poteva essere una felice alleanza divenne invece un’aspra rivalità, alla luce della quale si possono analizzare le tante caratteristiche problematiche dell’intero socialismo rivoluzionario russo e del bolscevismo in particolare.

Due leader
Durante gli anni del potere sovietico, gli sforzi della propaganda impiantarono saldamente nella mente del popolo sovietico la consapevolezza che il Partito bolscevico/comunista fosse il partito di Vladimir Il’ič Lenin, che ne era sempre stato il leader e il maestro. In realtà, le cose erano andate diversamente. C’era stato un periodo in cui Lenin non solo non era l’unico grande leader e maestro, ma non era neanche l’unico leader dei bolscevichi. Alla vigilia e durante la rivoluzione del 1905-1907, il viceleader dei bolscevichi, per dirla con Michail Nikolaevič Pokrovsky, era Aleksander Alexandrovich Bogdanov. In termini di influenza e popolarità tra i bolscevichi russi, Bogdanov era probabilmente più avanti di Lenin, che dirigeva soprattutto dall’estero.

Al momento della sua apparizione a Ginevra – allora il cuore pulsante dell’emigrazione socialdemocratica –, all’inizio del 1904, Bogdanov era già noto come marxista convinto e scrittore di talento, i cui articoli venivano pubblicati sulla stampa giuridica. Inoltre, trovandosi nel 1901-1903 in esilio a Vologda, aveva intessuto una corrispondenza con i redattori del giornale socialdemocratico Iskra e, secondo lo storico Nikolai Valentinov, “era molto conosciuto nell’ambiente socialdemocratico”.

L’adesione di Bogdanov ai bolscevichi giocò un ruolo fondamentale nel loro rafforzamento, poiché in quel momento i principali organi centrali del Posdr (il Partito Operaio Socialdemocratico Russo) erano nelle mani dei menscevichi. Secondo Valentinov, “vicino a Lenin – fermamente deciso a organizzare il suo partito – non c’era un solo letterato di rilievo. Bogdanov, che si dichiarava bolscevico, era una vera scoperta per lui, e lo prese con sé”. Una scelta che non poteva non allarmare i menscevichi.

Durante la loro conoscenza personale a Ginevra nel 1904, i due si scambiarono libri: Lenin regalò a Bogdanov Un passo avanti, due indietro (La crisi del nostro partito), Bogdanov a Lenin il primo volume di Empiriomonismo. Ben presto Lenin scrisse a Bogdanov che “con i suoi scritti lo dissuade puramente dalla correttezza delle sue opinioni e lo convince puramente della correttezza delle opinioni di Plekhanov”.

Ma i disaccordi filosofici a quel punto erano già passati in secondo piano, perché più importante era “la possibilità di realizzare insieme nella rivoluzione la tattica della socialdemocrazia rivoluzionaria (il bolscevismo) che… Era l’unica corretta”, e così nell’autunno del 1904 Lenin e Bogdanov “conclusero di eliminare tacitamente e senza dare nell’occhio la filosofia come campo neutro; una censura che andò…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.