Come ricordiamo le parti della nostra storia che preferiremmo dimenticare? Il rimosso e la revisione sono sempre opzioni. Pochi arriveranno fino a Ron DeSantis, che ha riformulato la schiavitù americana facendola diventare una forma di scuola commerciale, ma coloro che sono onesti noteranno il modo in cui si evolvono le loro narrazioni. Evidenziare i successi e consegnare i fallimenti all’oblio è comune quanto scrivere un curriculum. Le nazioni non sono meno propense degli individui ad abbellire il proprio passato. Gli storici possono faticare negli archivi alla ricerca di qualcosa di simile alla verità, ma la memoria collettiva è un progetto politico il cui rapporto con i fatti è più precario.
Quindi non sorprende che fino a poco tempo fa gli scolari americani imparassero a recitare l’inizio della Dichiarazione di Indipendenza senza mai apprendere che i Padri Fondatori ignorassero i diritti alla libertà degli afroamericani e i diritti alla vita dei nativi americani. La memoria collettiva è progettata per creare identità che le persone siano orgogliose di sostenere. Perché insegnare agli scolari che le realtà americane hanno violato gli ideali americani fin dall’inizio della storia del Paese se ciò può solo causare vergogna? Ma l’America non è certo l’unica a preferire una versione eroica del suo passato. Non c’è da meravigliarsi che ciò che si raccontano le nazioni metta in mostra le parti migliori della loro storia. Cresci i bambini a suon di Magna Carta e Battaglia d’Inghilterra e saranno felici di condividere la gloria della nazione britannica. Perché confonderli con le storie sull’impero? Gli scolari francesi possono essere orgogliosi di essere cittadini del Paese che ha donato al mondo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino; c’è bisogno di dire loro che non è stata rispettata pochi anni dopo aver ispirato la rivoluzione di Haiti, il cui leader, Toussaint L’Ouverture, fu condannato a morte in una prigione francese?
Laddove i fallimenti nazionali sono impossibili da valorizzare e troppo grandi per essere ignorati, gli individui e le nazioni scelgono la strada del vittimismo: saremmo stati eroi se la storia non avesse calpestato i nostri sforzi. Alcune nazioni oscillano tra ricordi eroici e altri basati sull’essere stati vittime: mi vengono in mente Polonia e Israele. Ma fino a tempi molto recenti, nessuna nazione ha mai basato la propria narrazione storica sull’aver perpetrato crimini sconvolgenti per il mondo. Chi immaginerebbe che questo possa essere un modo per costruire l’identità nazionale?
Eppure negli ultimi decenni la Germania ha fatto proprio questo. È facile dire che non avesse scelta, che le atrocità della Seconda guerra mondiale invocavano l’espiazione. Ma per quarant’anni pochissimi tedeschi (occidentali) la vedevano in questo modo: coltivavano invece una narrativa che li vedeva come le principali vittime della guerra, in un modo che rispecchiava i racconti dei difensori americani della Causa Persa: abbiamo perso la guerra, le nostre città erano in rovina, i nostri uomini morti o languivano nei campi di prigionia. Eravamo affamati, riuscivamo a malapena a sopravvivere e per di più gli Yankees avevano il coraggio di incolpare noi per aver iniziato la guerra.
Questa litania non è del tutto falsa, anche se elude la prospettiva più ampia che rende tali sentimenti le disoneste e convenienti apologie che sono. Tuttavia, per comprendere non solo la Germania di oggi, ma anche il modo in cui la maggior parte degli…