Privatizzazioni delle aziende partecipate: dov’è il pubblico interesse?

Oggi si parla sempre più diffusamente di privatizzare aziende statali in ossequio al dogma liberista secondo cui una minore presenza nello Stato nell’economia incentiverebbe la competitività. In realtà le economie miste dei Paesi occidentali prevedono molte aziende a partecipazione statale, per dirigere le quali è necessario un Piano economico nazionale che ne orienti l’operato verso il bene della collettività. Proprio quello che attualmente non accade in Italia.

Oggi, quando si sente parlare di impresa pubblica, spesso si discute di possibili privatizzazioni di quote societarie o di dismissione dell’impegno pubblico in alcuni settori dell’economia. La “logica” dietro questo binomio impresa pubblica-privatizzazioni sta nel dogma liberista secondo cui meno Stato nell’economia equivale a più competitività economica e quindi crescita. Infatti, come è affermato sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la vendita di quote di partecipazione di società ed enti del settore pubblico sul mercato persegue obiettivi di riduzione del debito pubblico, di aumento dell’efficienza, efficacia ed economicità gestionale delle organizzazioni interessate.[1] Se tale imprinting determina ancora il metodo operativo dei governi la realtà, però, dimostra tutt’altro andamento.

Come si evidenzia nella Nadef,[2] dalle privatizzazioni si ipotizza di ricavare 20 miliardi in tre anni (pari all’1% del Pil). Da questi numeri, però, si deduce che, più che per il contributo per la sostenibilità del debito pubblico,[3] le cessioni sono rilevanti per gli effetti che gli assetti proprietari delle grandi imprese possono avere sulla trasparenza, il controllo democratico degli investimenti aziendali e sugli obiettivi di sviluppo economico generale.

L’odierna importanza delle imprese partecipate deriva, in realtà, dall’economia di tipo misto che caratterizza i Paesi occidentali. In tutti i Paesi europei, soprattutto in Francia, le società pubbliche sono una realtà consolidata. È così anche per l’Italia, dove il numero e la rilevanza economica delle partecipate statali, anche se inferiore alla media europea, è estesa a più settori di attività. Ed è in seguito a questa rilevanza che, storicamente, …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.