Protesta dei trattori: le lobby agricole contro la transizione ecologica

L’attacco al green deal agricolo è iniziato già qualche anno fa, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Quella fu la scusa utilizzata dalle lobby agricole e dalla destra europea per sostenere la causa del produttivismo a ogni costo ai danni del clima. Oggi quell’attacco continua e strumentalizza alcune reali esigenze del settore. Settore che però non è tutto uguale, perché gli interessi di grandi, piccole e piccolissime imprese sono diversi e in alcuni casi divergenti fra loro.

La protesta dei trattori di queste ultime settimane ha messo in luce tutte le criticità del mondo agricolo, da sempre in affanno per le condizioni economiche in cui si trova costretto a lavorare. Ma ha messo anche in evidenza le tante contraddizioni di un settore molto eterogeneo e diversificato. Bisogna partire proprio da questa eterogeneità per comprendere fino in fondo quel che accade in queste settimane. Il primo errore che non dobbiamo commettere è quello di parlare di agricoltura al singolare. Tantomeno di agricoltore. Tra un piccolo agricoltore con meno di cinque ettari di ortaggi e uno con duecento ettari di seminativi ci passa un abisso, le esigenze sono estremante diverse, il modello produttivo cambia radicalmente. Quello con duecento ettari, da esempio, presumibilmente riceverà migliaia di euro di premi della PAC (la politica agricola comune dell’Europa), in alcuni casi centinaia di migliaia di euro. Quello con meno di cinque ettari è probabile che di euro non ne prenderà nemmeno uno.  E qui c’è la prima sostanziale differenza che demarca il terreno dell’agricoltura. Perché la PAC, per come è stata concepita, premia essenzialmente le grandi produzioni, non i piccoli agricoltori. Diciamolo con un numero: l’80% della PAC va al 20% delle aziende, quelle grandi per l’appunto. Più ettari hai, più vieni premiato. Più sei piccolo più sei spinto a chiudere (ed è esattamente quello che succede).

Sono prevalentemente le grandi aziende ad aver bisogno di grandi investimenti, di enormi macchine agricole, sono loro che utilizzano input chimici per garantire la massima produttività e sono quindi loro che si sentono più sotto attacco dalle misure ecologiche della PAC.

Ecco perché bisogna parlare di agricoltura al plurale, distinguendone i modelli e le vocazioni.

Fare questa distinzione ci aiuta a comprendere, ad esempio, che questa variegata protesta avaza richieste che non sono sempre omogenee e condivise da tutto il settore. Una delle questioni che è emersa con più forza è l’attacco alle misure ecologiche che l’Europa ha previsto con l’approvazione della nuova Pac. In sostanza il legislatore europeo ha messo sul piatto circa 380 miliardi di euro ma in cambio ha chiesto di adottare alcune misure che rendessero l’agricoltura più sostenibile: ha previsto che i terreni potessero stare a riposo o che si rafforzasse quell’antica pratica della rotazione culturale, ha chiesto la riduzione dei p…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.