Ehi, Patriarcato, non mi sfuggi

Ehi, Patriarcato. Sei consolidato, vecchissimo, tanto plateale quanto surrettizio. Sei in quel bastardo che l’ha violentata e poi rapita, voleva risolvere tutto con un matrimonio riparatore. Ma lei ha detto no, col cazzo che ti sposo, e da allora le cose un po’ sono cambiate. Vedi? Non sei invincibile.

Questo testo, che qui rendiamo fruibile a tutti, fa parte di uno speciale di MM+ dedicato al patriarcato e alla lotta contro di esso uscito lo scorso 8 marzo. Abbonati a MM+ per leggere il resto dello speciale.

Ehi, Patriarcato, non mi freghi. È inutile che ti nascondi, io ti scovo dappertutto, anche quando sei camuffato. Sei seduto in quel bar triste, intento a giocare a carte ed esprimere giudizi sul culo delle tipe che passano. Ti vedo perfino in loro, le volte in cui sorridono in cuore soddisfatte, come se il complimento di un maschio fosse una medaglia al valore.

Ti intrufoli negli uffici, tra i commenti rivolti alle impiegate, spesso demansionate rispetto a ciò che meriterebbero. E nei consigli di amministrazione ti annidi in quel dislivello stipendiale per cui le donne, a parità di merito, guadagnano un po’ di meno. Sei tra i boss che se la ridono, pensando a quanto sgobbano le loro sottoposte. Sei tra i dirigenti che rubano le idee e la linfa alle lavoratrici un gradino sotto di loro, persuasi che depredare una femmina non sia poi così grave, sereni per l’omertà che li circonda e per la capacità di sottomissione di chi subisce.

Sei la sagoma di un uomo inconsistente, pieno della sua prepotenza, vuoto di sentimenti, colmo di egocentrismo, orgoglioso della sua ignoranza, forte con gli amici, che si vanta delle sue prodezze, mostra le foto delle conquiste e racconta i dettagli intimi. Ma sei anche tra le donne che vogliono compiacere quel soggetto e si fanno belle perché il mondo confermi a lui che può rimorchiare una gran figa.

Ti osservo quando collezioni donne come se fossero farfalle fissate con uno spillo. Quando parli con gli amici di tette, di pompini, di scopate, di bambole rigirate come un calzino e gongoli perché gli altri ti considerano un playboy. Invece spesso, sotto sotto, nei tuoi sogni inconfessabili, desideri un uomo.

Ti scorgo, in quell’ufficio al terzo piano: sei un capo soddisfatto della sua segretaria sui tacchi a spillo, che si mette in tiro per essere posizionata giù a novanta da te, nella pausa pranzo, mentre la penetri velocemente e altrettanto velocemente mandi un WhatsApp a tua moglie.

Anche in quella moglie, ti stano. Lei che aspetta a casa e ha accettato di non lavorare per stare dietro ai figli, perché tu sei troppo impegnato a fare carriera e insistevi che fosse lei a rinunciare. Quindi adesso preferisce le fette di salame sugli occhi all’amara realtà.

Sei in quell’attrice che si crede finita perché a sessant’anni non le assegnano più ruoli da femme fatale, ma sei anche nelle sue colleghe che la deridono e soprattutto in quel regista che non la chiama più. Sei in un altro regista che sfrutta il suo ruolo per rimorchiare ragazze ingenue, pronte a svendere il loro corpo per sfiorare il sogno di una vita. Ma non tutte erano disposte a farlo e quanto coraggio quelle che hanno denunciato! Sei in tutti e tutte coloro che le hanno lasciate sole.

Sei negli artisti e nelle artiste che veicolano messaggi maschilisti, sei nei fan e nelle fan che li adulano, sei in quelli che rappresentano le donne reificate. Nelle persone che citano solo nomi maschili perché “Oddio, che cacofonia declinarli al femminile!” (e invece l’atto del femminicidio non è una cacofonia dell’umano?), che ricordano i fotografi, i pittori, gli illustratori, i registi etc. E non parlano mai di Letizia Battaglia, di Jenny Saville, di Barbara Baldi, di Paola Randi.

Condizioni quelli che non pronunciano la parola “architetta” perché contiene una parte anatomica (si fanno problemi per questo, poi magari, però, per i fatti loro bestemmiano).

Contagi chi esordisce con: “Io non sono maschilista, ma…” o chi s’immagina le femministe come valchirie frigide decise a soggiogare gli uomini. Il tuo campo fertile è l’ignoranza: certo la Storia è rimasta per te una strana sconosciuta.

Sembra che non abbiamo scampo, non c’è posto in cui tu non sia infiltrato.

Perché sei consolidato, vecchissimo, tanto plateale quanto surrettizio.

Ti ho scovato anche tra quelli e quelle che difendono gli abusatori, quando scoppia il patatrac, perché – sapete com’è qui da noi – le molestie si chiamano “ragazzate” e i femminicidi “delitti per troppo amore”. Sei nella penna di coloro che scrivono queste cazzate o volontariamente o per distrazione.

Sei tra quelli e quelle che vogliono svilire le stuprate, le assassinate (quelle fatte sparire dalla circolazione, che vuoi far credere si siano date a una fantomatica fuga), così sarà più semplice difendere l’indifendibile.

Sei nella faccia tosta di chi domanda alle vittime se per caso se la sono cercata, com’erano vestite, come mai non hanno dato un morso al pene quando l’aguzzino glielo metteva in bocca (Perché ero sotto shock? Perché avevo paura? Perché magari dopo mi ammazzava, testa di cazzo: non ci arrivi?).

Sei nei sensi di colpa che arrivano implacabili in chiunque sia stata violata, nel corpo o nell’anima.

Sei tra chi se ne sbatte dei diritti degli altri, delle minoranze, dei diversi orientamenti sessuale e delle persecuzioni che hanno dovuto subire, perché il tuo mondo è esclusivamente fallocentrico.

Sei tra coloro che sbeffeggiano travestiti e trans ma sotto sotto li e le desiderano.

Sei nelle ragazze che non cercano la sorellanza, sei nelle donne ottuse e competitive, in quelle che se la prendono con l’amante del marito anziché col consorte, sei nei padri e nelle madri che non hanno saputo insegnare ai figli maschi il rispetto e l’amore sano. Sei nelle due ragazzine che si sono picchiate perché una aveva messo un like su Instagram alla foto del fidanzato dell’altra.

Sei nei sorrisetti infidi delle tizie che criticano le altre, che cercano le loro imperfezioni, che affondano il dito nelle loro cicatrici. In quelle che sanno porsi solo un piano di seduzione con gli uomini e di competizione con le donne. Sei nella disperazione di quelle che si deturpano pur di inseguire l’utopia dell’eterna giovinezza, ma sei ancor di più negli sghignazzi di coloro che le sbeffeggiano senza pietà, sentendosi migliori.

Sei nella commessa che elogia la cliente per quanto le stia bene il vestito, ma sotto sotto gode per quei fianchi larghi e si passa orgogliosa la mano sul suo vitino di vespa.

Sei nella voce da cornacchia di chi reclama le quote blu, perché non ha capito che le quote rosa saranno anche stata una misura forzata, ma certo necessaria.

Sei nelle famiglie in cui il peso della casa e della prole è sulle spalle di una donna, perché l’uomo si occupa di incassare i soldi e gestisce l’economia di casa.

Sei in questo sistema sbagliato, dove le donne anche professionalmente sono troppo svalutate, sottopagate, calpestate. Se si amministrasse meglio la questione e si dessero più possibilità alle disoccupate o alle demansionate o a quelle che non guadagnano quanto meriterebbero, l’economia intera ne beneficerebbe. Ma a te, Patriarcato, non te ne frega niente: pretendi di saccheggiare quello che puoi a discapito del mondo.

Sei nei rettori universitari, nei primari, nei direttori di testate giornalistiche: ogni volta che l’incarico non viene assegnato in misura equa a una donna, anche loro hanno una quota di responsabilità.

Sei nella mia docente di scrittura espressiva, all’università, che aveva un debole per l’unico maschietto del corso e lo copriva di lodi anche se lui non valeva molto (però c’aveva il pisello).

Sei nelle groupie disperate: vivono riflesse nelle luci altrui (maschili) per compensare una vita vacua.

Sei in quella pseudoscrittrice che si finge paladina dei diritti delle donne, e invece anni fa inviava lettere d’amore a un femminicida.

Sei in quell’altra che ha fatto strada aggrappata a uomini che contano. Sei nei soggetti potenti che, prima di lei, sono stati protettori di altre favorite.

Sei in tutte le poracce che ignorano le altre o sparlano di loro perché sono rose dall’invidia di fronte al talento altrui e non contemplano la possibilità di elogiarlo.

Sei nelle sedicenti femministe che non collaborano per un obiettivo comune, attaccandosi a quisquilie pretestuose.

Sei negli haters e nelle haters, quanta pena mi fate!

Sei nel giurato e nella giurata dei premi letterari dove vincono sempre i maschi. Quasi sempre: si concede il premio ogni tanto a una donna, giusto per non fare una figura orribile.

Sei in quell’organizzatore di eventi che invita soltanto una o due artiste, nella kermesse, proprio perché è costretto, altrimenti le femministe poi rompono i coglioni.

Sei negli editori di scolastica che non l’hanno ancora capito – dopo anni e anni che lo ripetiamo a gran voce! – che nelle antologie devono essere presenti più scrittrici, altrimenti gli studenti e le studentesse – che già in storia e in altre materie sentono nominare solo uomini – penseranno che anche in questo caso le grandi cose siano state realizzate esclusivamente da maschi. Anche scrittrici italiane e viventi, please.

Ti scruto, Patriarcato, che soffi sui volti di quelle politiche che si fanno forti delle lotte per la parità e poi non vogliono declinare i nomi al femminile. Valutano che per trastullarsi al gioco del potere sia necessario adeguarsi agli schemi atavici oppure sei così introiettato dentro di loro che non possono agire altrimenti.

Riconosco il tuo odore da lontano, anche quando ti cospargi di profumi per nasconderti. Sei in chi depreca alle cantanti di essersi spogliate troppo, cercando di ridimensionare la loro bravura a corpo-oggetto.

Sei in chi spaccia l’impulso sessuale per prepotenza, in chi non contempla il piacere femminile, in chi ha il terrore del ciclo mestruale (senza il ciclo, signori, voi non esistereste!).

Ti insinui dentro alcuni disturbi e ci sguazzi beatamente. Narcisismo, frustrazione, impulsività, rabbia, mancanza di rimorso, incapacità di empatia, sete di controllo e altre patologie. Confondi il possesso con l’amore, spesso i tuoi genitori ti hanno viziato oppure ti hanno impresso il modello sbagliato. E se tuo padre menava tutti in casa, tu sei rimasto invischiato nella stessa trappola.

Ti scorgo in coloro che lanciano imposizioni di maternità, che vogliono normare la famiglia a una dimensione antica e standard, che scagliano giudizi contro le donne senza figli, in coloro che minacciano la possibilità legale di abortire in sicurezza, in coloro che impediscono ai giovani e alle giovani una sana e cosciente educazione sessuale, perché sapete com’è: qui vicino c’è il Vaticano, non vogliamo irritarlo, meglio che i ragazzi e le ragazze imparino la sessualità in maniera autonoma. Di nascosto. Senza protezioni. Su Pornhub.

Ehi, Patriarcato, ti vedo, faccia di merda.

Sei in quel bastardo che l’ha rapita e poi violentata, voleva risolvere tutto con un matrimonio riparatore. Ma lei ha detto no, col cazzo che ti sposo, e da allora le cose un po’ sono cambiate. Vedi? Non sei invincibile.

Sei in quei tre bravi ragazzi che hanno sequestrato due fanciulle innocenti, le hanno seviziate e torturate e hanno progettato il loro omicidio. Ma sono riusciti ad ammazzarne solo una. Hanno trattato i due corpi come qualcosa di odioso (o forse qualcosa di cui erano invidiosi). Ne hanno affogata una in una vasca, dopo averla sverginata, bisognava cogliere il fiore no? L’altra l’hanno riempita di botte, ma lei ha resistito. E dopo li ha massacrati con la forza della legalità.

Sei nei compagni di merende che biascicavano poche parole di italiano, al processo. Ai tempi d’oro, di giorno, picchiavano le mogli, costringevano le figlie all’incesto o andavano in giro con un fallo finto, mentre, col buio, sparavano alle coppie innamorate e mutilavano i seni e il pube delle donne.

Sei nel depravato che ha attirato la sua giovane preda nella parte più recondita di una chiesa e ha lasciato decomporre il suo corpo là, anno dopo anno, mentre la famiglia e la città intera la cercavano disperatamente.

Sei in colui che getta l’acido in volto, perché crede che sottrarre l’immagine a una donna sia il più grande castigo. Il vero castigo sarà una vista compromessa, innumerevoli e dolorosi interventi chirurgici di ricostruzione plastica, una vita amputata per sempre. E lui quanto ci gode.

Sei nel marito che anziché divorziare dalla moglie, la accoltella o la stordisce col ferro da stiro o la brucia viva. O nel compagno che cerca di avvelenarla col veleno per topi e non desiste nemmeno se lei ha il suo bimbo in grembo. Poi non ce la fa e la accoltella selvaggiamente, per poi cercare di sbarazzarsi del suo corpo come se fosse un sacco di patate da spostare di qua e di là, bruciare, occultare.

Sei nel fidanzato che impone restrizioni, che picchia, che controlla il telefonino. Ma sei anche nella ragazza che non lo molla perché non sa distinguere tra amore e dominio.

Sei in quell’ex che ha accoltellato la ragazza che non lo voleva più, proprio cinque giorni prima che lei discutesse la tesi di laurea (non ti andava giù, vero, che la tua ex fidanzata si laureasse brillantemente prima di te? Non ti andava giù che fosse libera e che splendesse, ti faceva sentire ancora più scialbo?)

Ti vedo, Patriarcato, in tutti gli uomini che calpestano le donne, che le disprezzano, che le trattano come delle idiote, che le guardano come una preda, che le usano come gingilli sessuali o incubatrici.

Sei ovunque, cazzo.

In piccole dosi o esagerato, camaleontico, infido, meschino, monotono, insopportabile, stronzo. Fai lo sbruffone e hai alleati feroci in tutto il mondo.

Sei anche dentro di me, quando non me ne accorgo. Quando esco solo se sono a posto, quando mi tingo i capelli, quando mi metto il rossetto e faccio di tutto per sembrare più sexy, perché anche se ti combatto tutti i giorni, sento ancora quella vocina. Stridula e radicata fin nelle viscere, mi ripete che sono migliore se sembro carina. Che verrò meglio accolta nel mondo.

Ti conosco da sempre. Eri scivolato nei miei sensi di colpa quando mio figlio era piccolo e io non andavo al parco con le altre mamme perché detestavo sentirle parlare di popò, pannolini e pianti notturni. Ma soprattutto perché avevo molto di meglio da fare, come ad esempio scrivere i miei libri.

Sarà un processo lungo contrastarti, perché in tanti e tante hanno gli occhi bendati e remano contro. Poi lo ammetto: tu sai fingere e imbrogliare, cascarci è un attimo. Non tutti ti riconoscono come facciamo noi. Fare una lista di ogni posto in cui ti occulti sarebbe impresa infinita, qui avevo a disposizione solo diecimila caratteri e li ho già sforati. Ma quante situazioni ancora mancano…

La buona notizia, però, è che anche tu hai i tuoi punti deboli e noi stiamo mirando a quelli.

Detesti la consapevolezza, il progresso (quello vero, interiore), l’informazione, l’empatia, il rispetto, la cura dell’altro, l’amore.

Dobbiamo accusarti, denunciarti, infangarti, detestarti, fino a cancellarti. Ma per prima cosa dobbiamo imparare (e insegnare) a riconoscerti.

Dobbiamo restare unite, alleate, contare sulla rete, sul passaparola, sulla solidarietà, senza demordere, senza abbatterci, senza farne una lotta tra sessi, perché per fortuna ci sono in giro tanti uomini in gamba che non ti sopportano e stanno dalla nostra parte.

Dobbiamo raccontarlo nelle strade, nelle case, nelle scuole (noi insegnanti abbiamo strade preferenziali, non le trascuriamo! Non affidiamoci solo a sporadici progetti di poche ore!), parlarne con i giovani, ma non solo, e ogni volta che ce ne sia possibilità.

Per farti la guerra, quindi, basta portare avanti questi principi di pace. Ecco perché ce la faremo a fermarti: tu sei stupido, impulsivo, bestiale, non conosci strategie contro l’amore, il rispetto, la consapevolezza.

È solo questione di tempo, quindi, fidati: sei fregato, baby.

CREDITI FOTO: Gallica

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.