Fosse Ardeatine, 80 anni dall’eccidio. Intervista a Michela Ponzani

Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani gappisti compiva l’attentato di via Rasella, a cui il giorno dopo gli occupanti tedeschi risposero con la terribile rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Un legittimo atto di Resistenza a cui fece seguito un massacro deliberato. Eppure, nell’Italia attuale, in cui una parte non solo della società ma anche delle istituzioni non si riconosce nei valori e nell’eredità dell’antifascismo, tali eventi sono ancora oggetto di contesa. La ricostruzione della storica Michela Ponzani non lascia però spazio a nessuna tendenziosa ambiguità.

Innanzitutto, qual era il contesto politico-militare nel quale si svolse l’azione di via Rasella? Roma era stata dichiarata città aperta ma lo era davvero?
No, non lo era affatto. Il contesto è quello di una città sottoposta a una feroce occupazione militare, che inizia subito dopo la proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre del 1943 senza che sia stato predisposto alcun piano per fronteggiare la presenza dei tedeschi, già sul territorio. La città viene lasciata allo sbando dalla fuga del re e da quella dello stato maggiore, dell’esercito e del Governo Badoglio, che se ne vanno a Pescara, lasciando allo sbando i militari, le forze armate e la popolazione di Roma, che nelle giornate dal 9 al 10 settembre insorge, cercando di difendere la città come può attraverso feroci combattimenti a Porta San Paolo. Lì si contano le prime vittime della Resistenza a Roma, circa 400 fra militari e civili. Muoiono anche donne che vanno a combattere, ragazze giovanissime, che partecipano spontaneamente, come tanti romani e tante romane, ai combattimenti – alcune poi combatteranno nei gap, come Maria Teresa Regard e Carla Capponi, con quest’ultima che poi prenderà parte all’azione di via Rasella cui seguirà l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Poi, subito dopo l’occupazione tedesca, iniziano i primi rastrellamenti e le prime stragi: il primo rastrellamento è quello di oltre 2000 carabinieri che vengono deportati in Germania e mandati a lavorare come schiavi nelle fabbriche di Hitler.

La città viene sottoposta a un rigido sistema di occupazione militare, con un coprifuoco che va dalle prime ore del pomeriggio; viene imposto il razionamento del pane e il divieto di circolare in bicicletta perché i gappisti, le formazioni più agguerrite e più organizzate della Resistenza, mettono a punto delle azioni mirate di attacco alle forze occupanti soprattutto ricorrendo a questo mezzo per garantirsi velocità nell’attacco e poi una via di fuga immediata. Insomma, Roma è una città esplosiva, che dà filo da torcere ai tedeschi fin dall’inizio, tanto che lo stesso Herbert Kappler nel 1948 dirà a processo che si trattava di una città ribelle, una città dove si contava una media di otto attacchi militari al giorno alle forze tedesche. Perché i gappisti, che avevano suddiviso la città in otto zone dal centro alla periferia, davano filo da torcere in continuazione alle forze tedesche facendogli presente che la loro presenza non era solo indesiderata ma criminale, che quindi i romani non l’accettavano.

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.