Homo sum; humani nil a me alienum puto
Confondendo Terenzio e il Talmud, mio padre rivendicava per l’ebraismo l’idea che nessuna sofferenza umana potesse essere estranea a un ebreo. Israele ha ucciso più di 11.000 bambini a Gaza e io ho visto attraverso il mio schermo, giorno dopo giorno, l’inferno che si nasconde dietro i numeri senza volto di questa atrocità. Non dovrebbe essere necessaria alcuna particolare decenza o rettitudine morale per vedere l’agonia dei padri che trasportano pezzi dei corpi dei loro figli agli obitori, delle madri che portano in braccio i bambini morti per le strade di Gaza, del bambino che si risveglia nel silenzio abissale lasciato dalla sua famiglia sterminata nella campagna di giusta malvagità di Israele, il nonno che scava alla ricerca dei corpi dei suoi nipoti. La semplice vista della più brutale delle sofferenze umane dovrebbe essere sufficiente a suscitare il più profondo degli orrori. Si dovrebbe presumere che coloro che non si commuovono non si siano accorti dell’orrore o lo trovino tollerabile.
Dimorando nell’oscurità di questa ferocia ostinata a cui può essere riservata solo la parola male, si possono trovare nomi, volti e voci come la supplica di Hind Rajab di sei anni, simile a quella in cui si prodigano spesso i miei bambini quando sono al buio per essere salvati dai mostri ed essere tenuti in braccio. Il suo appello mi perseguita e so che si moltiplica ogni ora di ogni giorno mentre il massacro di Gaza non mostra segni di cedimento né sotto i rimorsi di coscienza né sotto la pressione della prudenza politica.
Il numero non deve essere oggetto di disputa. La mostruosa cifra è rilevante solo per comprendere la portata della brutalità di Israele e anche un solo bambino avrebbe dovuto essere sufficiente per suscitare orrore. 10.000, infatti, è una grandezza che rischia di diventare una peculiarità statistica per il calcolo dei danni che la violenza di Stato può infliggere a una popolazione civile. Difficilmente si può scorgere una voce umana nel profondo di un simile numero. Io, tuttavia, che conosco ancora gli ultimi gesti di Mohammad al Dourra, posso ancora sentire la supplica di Hind che mi chiede, come spesso fanno i miei figli con toni simili, di spezzare la presa della paura con il caldo abbraccio di queste braccia.
In effetti, non posso evitare la sensazione che Hind si stesse rivolgendo direttamente a me e non riesco a capire nel modo più assoluto coloro che sono cresciuti con me nella comunità ebraica e che, ascoltando una simile supplic…