30 anni fa, il suicidio di Kurt Cobain lasciò in lutto un’intera generazione

Il 5 aprile 1994 Kurt Cobain si toglieva la vita nella sua villa sul lago Washington. Con la sua band, i Nirvana, aveva incarnato il bisogno di autenticità di una generazione che non si riconosceva e non poteva più riconoscersi negli artefatti anni Ottanta. Il successo planetario giunto con l’album “Nevermind”, unito a problematiche pregresse e personali, aveva però gettato Cobain in una profonda crisi di identità in seguito al tradimento dei presupposti dell’alternative rock. L’album di reazione a “Nevermind”, il grezzo ed essenziale “In Utero”, contiene già all’interno indizi del furioso desiderio di annichilimento del cantante e anticiperà di pochi mesi il suo suicidio. A distanza di trent’anni, di Cobain e dei suoi Nirvana rimangono la musica, l’eredità di un percorso artistico e umano inestricabilmente legati e il lascito di una rivoluzione culturale che aveva catapultato l’alternative rock in una dimensione mainstream.

Nel mondo frammentato di Internet, delle piattaforme streaming e dei social media, in cui ognuno può costruirsi la propria nicchia di consumo culturale e condividerla con un gruppo di persone selezionate, quando si parla di musica diventa necessario rinfrescarsi la memoria sul mondo che ha preceduto l’avvento del web. Le nicchie esistevano anche allora, certo, ma era di sicuro più difficile posizionarsi al loro interno, entrare in circuiti alternativi soprattutto se non si viveva in città con una scena musicale florida e club disposti a far suonare i suoi esponenti. Era così ancora negli anni Novanta, un decennio piuttosto peculiare, l’ultimo prima dell’avvento di Internet, in cui la musica bisognava ascoltarla soprattutto tramite supporti fissi (e a pagamento), venendo a conoscenza delle ultime novità principalmente attraverso riviste specializzate, radio e canali televisivi tematici. Sull’ultimo versante MTV la faceva padrone e un videoclip in Heavy Rotation sull’emittente poteva determinare le fortune, anche planetarie, di una band. Questo è quanto successe a un gruppo della scena di Seattle, uno dei quattro che nell’immaginario collettivo rappresenteranno il grunge (gli altre tre sono Alice in Chains, Soundgarden e Pearl Jam), genere nato e sviluppatosi proprio nello Stato di Washington: i Nirvana. Il videoclip era quello di Smells Like Teen Spirit, brano di punta dell’album Nevermind, pubblicato il 24 settembre del 1991 e destinato a segnare un decennio.
In pieno teen spirit il videoclip è girato in una tipica palestra scolastica, con le cheerleader a intrattenere una folla dapprima apatica (“Here we are now / Entertain us!”) e un bidello che per sembianze e movente riecheggia la figura di Caronte. Al suono della band l’atmosfera via via cambia, i movimenti delle cheerleader, dapprima totalmente sconnessi, si armonizzano alla musica, sui loro top si evidenzia sempre più il simbolo dell’anarchia e la folla in precedenza composta da spettatori passivi si trasforma nel partecipe pubblico di un concerto. Caronte ha trasportato le anime dannate dall’altra parte del fiume. A orchestrare il tutto sono i tre componenti della band: il batterista Dave Grohl, subentrato a Chad Channing, e i due membri fissi della band dalla sua formazione al suo epilogo, Krist Novoselic al basso e Kurt Cobain alla voce e chitarra. Nessuno all’epoca lo sa ma il gruppo si scioglierà nemmeno tre anni più tardi proprio in seguito alla morte di quest’ultimo, avvenuta il 5 aprile del 1994.

Quel cantante bello e dannato, che suo malgrado darà voce a una generazione che si sentiva già stanca, sbagliata e perduta (“I am worse at what I do best / And for this gift I feel blessed, sempre Smell Like Teen Spirit), portando su un palco la sua rabbia, la sua disperazione e tutta la sua fragilità, era nato ad Aberdeen, a circa 170 chilometri da Seattle. Il divorzio dei genitori, avvenuto nel 1975, inciderà molto sulla percezione di sé e del mondo che aveva intorno, disgregando la sicurezza familiare agognata nel brano Sliver, contribuendo allo sviluppo di sentimenti di rabbia, vergogna e risentimento. Quel divorzio assumerà una rilevanza particolare nella sua biografia emotiva ma anche nella narrazione mediatica del suo personaggio, tanto che lo stesso Cobain nel brano Serve the Servants esprimerà il bisogno di scrollarselo di dosso: “That legendary divorce / Is such a bore”. La sua introversione e la conseguente emarginazione subita a scuola lo porteranno sia a giocare molto sull’ambiguità sessuale (“What else could I say? / Everyone is gay”, All Apologies) sia a contestare l’atteggiamento machista dei suoi compagni, attitudine che si porterà dietro lungo tutta la sua breve vita e che segnerà anche il suo percorso artistico.

Dopo alcuni precedenti tentativi, Cobain dà vita ai Nirvana nel 1987 con Novoselic e il primo batterista della band, Aaron Burckhard; prima della formazione definitiva saranno diversi i batteristi a ruotare. A far incontrare e mettere in contatto Cobain e Novoselic è la comune passione per una band della loro stessa cittadina, i Melvins. Gruppo underground di culto, i Melvins sono adorati dal giovane Cobain e rappresenteranno un punto di riferimento lungo il suo percorso musicale, che però gli destinerà ben altra carriera, più di successo ma certamente meno “integra”.

Il primo album della band, con la formazione Cobain-Novoselic-Channing, è prodotto da Jack Endino e viene pubblicato nel 1989 per un’etichetta indipendente, la Sub Pop Records. È intitolato Bleach ed è un album dal suono e dalle atmosfere decisamente punk. Sebbene a livello commerciale non sia un successo, le critiche che ottiene in ambito settoriale sono buone. L’LP inoltre contiene una delle canzoni destinate a diventare tra le…

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

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Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.