Per una storia sociale dell’Intelligenza Artificiale. Intervista a Matteo Pasquinelli

Quando ci si relaziona a una nuova tecnologia, spesso lo si fa come se fosse improvvisamente piovuta dal cielo. Questo atteggiamento di meraviglia, giunga esso da "apocalittici" o da "integrati", deriva dall’omissione della storia che ha portato alla strutturazione di quella stessa tecnologia. Nel suo libro “The Eye of the Master: A Social History of Artificial Intelligence” Matteo Pasquinelli traccia una storia sociale dell’Intelligenza Artificiale, accompagnando il lettore alla scoperta del fatto che gli algoritmi trovano le loro radici agli albori della civiltà e che l’IA stessa è stata ispirata dalla divisione e automazione del lavoro, innanzitutto quello manuale.

Professor Pasquinelli,[1] ci dica due parole sul titolo del libro, The Eye of the Master.

Non è facile rendere in italiano il titolo The Eye of the Master, poiché potrebbe essere tradotto sia come “l’occhio del maestro” sia come “l’occhio del padrone”. Disciplina di fabbrica a parte, l’analogia del titolo sintetizza un aspetto poco conosciuto della questione: il modello attuale dell’Intelligenza Artificiale, noto come deep learning, ha le sue radici nell’automazione della percezione e non della cognizione, come invece si crede spesso. L’Intelligenza Artificiale attuale proviene da un paradigma visuale, è cioè il prodotto della storia dei network neurali artificiali sviluppati negli anni Cinquanta e Sessanta principalmente per risolvere ciò che si chiamava pattern recognition, vale a dire il riconoscimento di immagini quali semplici forme, ovvero pattern, all’interno di dati visuali.  Quando parliamo di AI, in altri termini, la cosa rilevante è chiarire come la sua forma logica originaria (la sua forma epistemica, si potrebbe dire) non sia tanto la cognizione (cognition in inglese), intesa nel senso ampio del termine, vale a dire la capacità di padroneggiare e risolvere problemi logici, quanto piuttosto il riconoscimento (recognition in inglese, usando questa assonanza) di relazioni.

Ecco, quindi, la risposta migliore in sintesi: l’occhio del maestro, cioè l’attuale forma epistemica dell’Intelligenza Artificiale, ha poco, anzi quasi nulla a che fare con la cognizione, ma invece con la percezione o, per essere ancora più precisi, con la classificazione di forme e relazioni. Il primo network neurale artificiale operativo, il Perceptron di Frank Rosenblatt, fu inventato per tentare di automatizzare il lavoro di supervisione, il lavoro di pattern recognition, appunto, impiegato nei compiti di ricognizione del personale dell’aviazione e della marina.  

Il titolo tuttavia sottende un altro significato. Questa storia – dell’automazione della supervisione, o del lavoro di supervisione – ha una genealogia che risale molto indietro nel tempo, che arriva sino alla fabbrica industriale e alla disciplina del lavoro. Il master che compare nel titolo fa riferimento al master della fabbrica, al padrone, ma anche al capo della piantagione, e, per estensione, al maestro di una classe di studenti, che disciplina e guida l’apprendimento. Ora, è proprio questa idea della supervisione del lavoro e della disciplina del lavoro a dar forma alle prime teorie sull’automazione, come quelle di Adam Smith e Charles Babbage, che fra l’altro ispirarono le interpretazioni fornite da Karl Marx del fenomeno dell’automazione. E non è una coincidenza che quando Charles Babbage disegni il primo prototipo di computer moderno (il Difference Engine), una macchina per eseguire il calcolo logaritmico in maniera automatica utilizzando non l’elettricità ma la forza motrice del v…

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