Il mondo al voto: 2024, un crocevia per la lotta al cambiamento climatico

Il 2024 è un anno cruciale per la politica mondiale: in diversi Paesi si è votato e in altri si voterà. Paesi in molti casi dotati di grandi popolazioni, con il conseguente impatto a livello di emissioni inquinanti. Ciononostante, nei corti orizzonti delle promesse elettorali è assente il tema della sfida epocale del nostro tempo, quella della lotta al cambiamento climatico.

Cinque anni fa, il 15 marzo 2019, un venerdì, quasi un milione e mezzo di ragazze e ragazzi occuparono le piazze di 125 Paesi per chiedere ad aziende e governi un’azione decisa per contrastare la crisi climatica. Era la prima grande manifestazione globale del movimento Fridays For Future, nato ad agosto di un anno prima, quando una quindicenne, sempre un venerdì, invece di andare a scuola si presentò davanti al parlamento svedese con un cartello: “Skolstrejk för klimatet”, sciopero scolastico per il clima.

A settembre 2019 le proteste durarono una settimana e coinvolsero circa 7 milioni di persone in tutto il mondo: la più grande mobilitazione per il clima che ci sia mai stata. Greta Thunberg in quei giorni aveva attraversato l’oceano (in barca, non in aereo) e a New York, al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, aveva accusato i leader mondiali di averle rubato i sogni e l’infanzia con le loro parole vuote: “How dare you!”, come osate.

Fu un anno importante per la lotta al cambiamento climatico: dopo anni di allarmi lanciati dalla comunità scientifica, per lo più rimasti inascoltati, finalmente la tematica si guadagnava i riflettori mediatici e una posizione prioritaria nell’agenda politica.

Nel 2019 alla Casa Bianca c’era Donald Trump, che aveva fatto uscire gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Joe Biden, eletto nel 2020, ha subito fatto rientrare Washington nel trattato internazionale sul clima e approvando l’Inflation Reduction Act ha iniettato nell’economia americana centinaia di miliardi di dollari da destinare a soluzioni climaticamente sostenibili come pannelli fotovoltaici, veicoli elettrici, efficientamento energetico.

A dicembre 2019 iniziava anche il mandato elettorale di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea, fortemente caratterizzato dal Green Deal, vasto insieme di norme con cui il Vecchio Continente ha reso legalmente vincolante l’impegno ad azzerare le emissioni climalteranti entro il 2050, fissando l’obiettivo intermedio di dimezzarle entro il 2030.

A cinque anni di distanza da quell’anno di svolta, oggi il mondo si trova a un altro crocevia per le politiche ambientali. Complessivamente metà del pianeta nel 2024 andrà al voto: in 64 Paesi, circa 4 miliardi di persone dovranno decidere da chi farsi governare. Si dovrebbe puntare a spostare più in alto l’asticella, invece ci si trova a dover difendere le conquiste ottenute, minacciate soprattutto nei Paesi occidentali dall’ascesa delle destre, che raccontano la sostenibilità del modello economico come un vezzo della sinistra radical chic.

Non si vota soltanto in Eu…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.