L’appuntamento è alle prime luci dell’alba, alle cinque in punto per l’esattezza. Karim – il cui nome è di fantasia per garantirne l’anonimato – si fa trovare sempre in orario, al solito posto, all’angolo poco illuminato del piazzale. È a quell’ora che passa il furgone della cooperativa per portarlo a lavorare nei campi. Siamo nella provincia di Mantova, terra dove si coltivano migliaia e migliaia di meloni, che poi andranno raccolti per essere venduti nei supermercati di tutta Europa. Karim e i suoi connazionali sanno che la giornata sarà di undici, dodici ore di lavoro massacrante. Undici, dodici ore senza neppure conoscere il nome della cooperativa che lo ha assoldato, né quello del proprietario dell’azienda agricola presso la quale raccoglierà la frutta. Ma quando inizia la fase della raccolta non si guarda in faccia nessuno. Del resto, con le sue 90mila tonnellate, la provincia di Mantova è il primo polo produttivo di meloni in Lombardia, la seconda regione italiana per volumi dopo la Sicilia. Da marzo a ottobre, le aziende devono muovere lavoratori al massimo della velocità. Quasi la metà della forza lavoro è di origine straniera. Sono indiani e marocchini, perlopiù stanziali, anche se di recente stanno subentrando i lavoratori dell’Est Europa, più sfruttabili e più ricattabili.
Quella di Karim è una delle testimonianze raccolta dai ricercatori di Terra! nel rapporto “Cibo e sfruttamento. Made in Lombardia” e racconta una storia di lavoro massacrante nelle campagne, con turni che non finiscono mai, paghe da fame e soldi trattenuti per il trasporto e il vitto. Assunto da «una cooperativa senza terra» e «trascinato in ogni anfratto della provincia, sconfinando anche in Veneto», Karim si è visto persino trattenere 500 euro per avviare la pratica della sanatoria: «La regolarizzazione ha un costo», gli hanno spiegato. Di storie come queste ce ne sono a migliaia, nascoste nei ghetti del Sud Italia o del ricco Piemonte, storie che troviamo nei campi di kiwi dell’Agro Pontino così come negli allevamenti di maiali della Pianura Padana. Persone costrette a vivere in alloggi di fortuna, masserie semi abbandonate, capanne di lamiera e cartone, costrette ad accettare qualsiasi cosa pur di guadagnare un misero salario per sé e per le proprie famiglie.
Per molti di loro, in questi anni, lo sfruttamento è arrivato fino al punto più estremo. Se il caso più emblematico è stata la morte nel 2015 nelle campagne di Andria di Paola Clemente, in questi anni di vittime se ne contano a decine. Camara Fantamadi era un ragazzo di appena 27 anni, originario del Mali, morto stroncato da un malore a giugno del 2021, dopo una giornata trascorsa a lavorare nei campi sotto la morsa di un caldo insopportabile. Le cronache locali hanno raccontato che intorno alle 17, dopo aver accusato un giramento di testa, ha lasciato i campi per rientrare a casa in bici. Nelle campagne tra Brindisi e Tuturano, ancora distante da casa, dove il fratello lo attendeva, il ragazzo si è accasciato senza riprendere più i sensi.
Se è vero che il caporalato affonda le radici nelle campagne del Sud Italia, negli ultimi anni ha saputo però allargarsi a macchia d’olio ovunque nel territorio nazionale ed è presente tale e quale anche in diversi Paesi europei, a partire da Spagna e Grecia. Al Nord si …