Presenza russa in Africa, cause e possibili conseguenze

Nell’ultimo periodo la presenza russa in Africa, soprattutto nel Sahel, si è sempre più intensificata, accelerata dalla necessità del Cremlino di trovare nuovi partner a livello internazionale dopo la brusca interruzione dei rapporti con l’Occidente. Ma non dobbiamo considerare i Paesi africani come semplici pedine di uno scontro tra potenze, bensì come attori consapevoli che scelgono la Russia sia perché memori del colonialismo europeo sia perché, anche nel recente passato, gli Stati occidentali non si sono mai posti al fianco di quelli africani.

Anche il Niger sceglie la Russia. Dopo aver espulso le truppe francesi nel 2023, il Paese ha chiesto, più recentemente, il ritiro anche di quelle statunitensi. E nei primi giorni di maggio, militari del Cremlino sono sbarcati a Niamey, con istruttori, equipaggiamenti e prodotti alimentari.

Con un rapido effetto domino si ripropone, insomma, quanto già successo in Mali e in Burkina Faso: un colpo di Stato militare, il congedo delle forze francesi (e Usa, in alcuni casi) e la convocazione di quelle russe, pronte ad aiutare nella lotta contro il jihadismo.

Non solo. I tre Paesi – Mali, Burkina Faso e Niger – sono anche usciti dal gruppo Sahel G5, che costituiva la principale forma di cooperazione in tema di sicurezza sostenuta dall’Occidente. E, di riflesso, hanno siglato un nuovo accordo militare: l’Alleanza degli Stati del Sahel, che oggi si sta riempiendo di contenuti geopolitici per ridisegnare il sistema delle alleanze regionali. Privilegiando, appunto, i legami con Mosca.

Già presente in Sudan, nella Repubblica Centrafricana e in Libia (oltre ad altri fronti minori), la Russia sta dunque consolidando la sua presenza nel Sahel, riuscendo a imporsi in una regione storicamente sotto la protezione di Parigi. Ora gli occhi sono puntati sul Ciad, ultimo Paese saheliano a ospitare una robusta presenza militare francese. E la questione è di particolare interesse per il Cremlino, perché gli consentirebbe di creare un collegamento terrestre tra Niger, Repubblica Centrafricana e Sudan.

Da cosa nasce il rinnovato interesse russo verso l’Africa? A partire dall’invasione dell’Ucraina, Mosca si è trovata a fronteggiare un isolamento quasi completo da parte dell’Occidente. In risposta, ha riesaminato la sua politica estera e ha spostato l’attenzione verso l’Africa (vicina all’Europa e con 54 voti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), per coltivare alleanze potenzialmente vantaggiose all’Onu, cercare nuove partnership internazionali e provare a rilanciare così il suo ruolo di potenza mondiale. Per dimostrare, in altre parole, di non essere un paria internazionale.

Benché l’accesso a risorse naturali come oro, diamanti, uranio e petrolio resti un punto di fondamentale interesse, la Russia oggi non è una potenza economica in Africa (rappresenta circa l’1,5% dell’interscambio internazionale nel continente). Né avrebbe le risorse per diventarlo.

Più importante è creare legami militari e diplomatici, utilizzando come pretesto la minaccia jihadista, che ha nel Sahel uno dei suoi epicentri per diversi gruppi armati, collegati per lo più ad Al Qaeda e allo Stato Islamico. Laddove le forze straniere, francesi in particolare, non sono riuscite a ottenere risultati significativi nella lotta ai gruppi armati e hanno provocato un malcontento dilagante, la Russia si presenta come partner alternativo, ancora di salvezza contro il terrorismo. E ciò, anche e soprattutto nei Paesi golpisti, non avendo nessuna remora né vincolo politico nello stringere accordi con regimi autoritari.

Ed ecco, dunque, che nel Sahel trova il perfetto terreno fertile. Offre assistenza tecnico-militare, esercitazioni, addestramenti e, soprattutto, il dispiegamento di truppe per la repressione delle opposizioni, siano esse jihadiste o politiche. Schiera l’ex gruppo mercenario Wagner, sostituito oggi, dopo la morte del suo fondatore Evgenij Prigožin nell’agosto 2023, da Africa Corps. Non più un’azienda privata, ma una nuova struttura militare che opera sotto il ministero della Difesa e, di fatto, controllata dallo Stato. Africa Corps, nome che non passa inosservato: un infelice quanto esplicito riferimento ai battaglioni del Terzo Reich che combatterono contro gli alleati in Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale.

Alla forte presenza militare, si aggiunge il commercio di armi: tra il 2019 e il 2023, secondo il Sipri, la Russia ha fornito il 24% delle armi vendute ai Paesi africani. Distribuite con schemi di finanziamento generosi, servono più come mezzo per mantenere un’influenza politica che non come strumento di guadagno finanziario. E, sullo stesso fronte, il Cremlino si sta impegnando per espandere la propria presenza operativa, cercando di ottenere l’accesso ai porti strategici e di stabilire nuove basi militari. Che, al momento, nonostante l’avvio di colloqui con diversi governi, si limitano a un eventuale accordo per un porto navale in Sudan.

Come seconda e fondamentale carta, la Russia rafforza la charm offensive con diverse strategie: aumentando le visite nel continente da parte del Ministro degli Esteri Lavrov; rilanciando un secondo vertice Russia-Africa (dopo il primo del 2019); sfruttando il proprio ruolo di membro permanente con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per proteggere governi del continente da condanne e sanzioni internazionali e offrire copertura diplomatica in forum internazionali. E, non da ultimo, si impegna in ciò in cui è maestra: lucidare la propria immagine tramite la propaganda. Filo-russa e anti-francese, ovviamente. Promuove l’apertura di nuovi centri di lingua e cultura russa, lancia operazioni informative tramite i social media e partnership con i giornali locali, diffonde persino cartoni animati su YouTube: un topo (francese e finto amico) entra in una casa, svuota la dispensa; ma a salvare la situazione e uccidere il ratto ecco che arriva un militare della Wagner. Il fil rouge, neanche troppo sottinteso, consiste nel rappresentare la Francia, ma anche i Paesi occidentali in genere, come presenze neocoloniali. Sottolineando, al contrario, il contributo di Mosca alla decolonizzazione.

Una combinazione, dunque, di strumenti di soft power e hard power. Strategie a basso costo e alto impatto, che allarmano i governi occidentali. Il timore è che la presenza di Africa Corps, oltre ad esacerbare il sentimento antioccidentale, possa trasformare la zona in un focolaio di instabilità, alimentando conflitti e violazioni dei diritti umani. Inoltre, benché al momento non ci siano evidenze di un impegno in questa direzione, alcuni osservatori evidenziano il rischio che la gestione delle emigrazioni possa diventare uno strumento nelle mani della Russia per colpire l’Europa.

Ma, in queste lotte egemoniche, nella narrazione di un continente conteso, che vede il Sahel come terreno di scontro tra i due fronti, manca un terzo e fondamentale attore: l’Africa. I Paesi del continente, lungi dall’essere pedine nelle mani di potenze esterne, scelgono se e dove schierarsi, sulla base, a seconda dei casi, dei propri interessi, delle proprie credenze, del proprio passato, della propria situazione interna.

I recenti colpi di Stato e i conseguenti cambi di rotta in favore della Russia, sono il risultato combinato di dinamiche autogene ed esogene, fenomeni interni che, mischiati con le tensioni internazionali, si fondono in un unico calderone che ne accelera gli effetti.

Così, il sentimento anti-francese non è stato creato dalla Russia, semmai amplificato, sfruttando un diffuso e preesistente malcontento verso le ingerenze e il paternalismo dell’Esagono, che ha permesso gioco facile alla propaganda. La reputazione degli Stati europei è contaminata dai ricordi collettivi degli abusi coloniali e, in tutto il continente, è diffusa la percezione che gli Stati occidentali non si siano posti a fianco dell’Africa nemmeno nel recente passato: non sostenendola durante la pandemia COVID-19, adottando un atteggiamento impari tra rifugiati ucraini, accolti a braccia aperte, e migranti africani, trattati come un problema di sicurezza da gestire, e impegnandosi in promesse mai realizzate.

La conseguente perdita di fiducia, particolarmente marcata nei confronti della Francia, si è allarga, in parte, agli stessi modelli politici occidentali e in particolare all’idea di democrazia, come rilevato dai sondaggi delle opinioni pubbliche africane.

Un insieme di dinamiche locali che la Francia ha sottovalutato, concentrandosi su una strategia esclusivamente militare e priva di una visione politica. Destinata dunque, come ammette oggi Macron, ad entrare in conflitto con la sovranità dei Paesi interessati.

Quella stessa sovranità che oggi gli Stati africani esercitano, svolgendo un ruolo centrale nel determinare l’entità dell’influenza russa, occidentale, cinese e altro ancora. E guardando al grande continente, oltre il Sahel, la posizione di molti Paesi africani sembra essere piuttosto un non allineamento o, a seconda dei casi, un multi-allineamento: se il voto all’Assemblea Generali delle Nazioni Unite del 2022 sulla condanna all’aggressione russa verso l’Ucraina, quando ben 25 Stati africani decisero di astenersi (a fronte, comunque, di 28 che votarono a favore), può essere letto come segno di vicinanza al Cremlino, può essere altresì un desiderio di non schierarsi, di non ricadere in dinamiche già vissute negli anni della Guerra Fredda. A favore di questa seconda ipotesi ci sarebbe anche la scarsa partecipazione al secondo summit Russia-Africa del 2023, che ha visto la presenza di soli 17 capi di Stato, ben pochi rispetto ai 43 presenti al vertice del 2019.

Il bicchiere dell’influenza russa, dunque, è mezzo pieno ma anche mezzo vuoto. Si è inserita in una regione complessa capitalizzando insoddisfazioni preesistenti e offrendosi, pur con meno esperienza di Francia e Stati Uniti e senza alcuna garanzia di successo, come fornitore esterno per la sicurezza, sbandierando la cartina della lotta al jihadismo. Jihadismo che oggi trova nel Sahel, pervaso da tensioni interne e geopolitiche e dalla povertà amplificata dalla crisi climatica, la tempesta perfetta per proliferare.

Insomma, in questo panorama confuso, complesso e in divenire, in mezzo alle rivalità tra potenze, forse, a vincere è il quarto attore, l’unico che tutti avrebbero lo stesso interesse a combattere: il terrorismo.

CREDITI FOTO: ANSA/EPA/ISSIFOU DJIBO

Protesters display the flags of Niger and Russia during a protest in Niamey, Niger, 30 July 2023. Thousands of supporters of General Abdourahamane Tchiani, head of the Presidential Guard, who declared himself the new leader of Niger after a coup against democratically elected President Mohamed Bazoum on 26 July, took to the streets of Niamey to demonstrate support for the coup.

 
 


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