Biennale Teatro 2024, intervista ai direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte

La Biennale Teatro 2024, in programma dal 15 al 30 giugno 2024, è la quarta e ultima diretta da Stefano Ricci e Gianni Forte (in arte ricci/forte). Ripercorrere le tre precedenti edizioni da loro dirette e fornire anticipazioni su quella che si appresta a iniziare ci fornisce anche il pretesto per una riflessione a 360° sul teatro, la comunicazione e l’arte nel mondo contemporaneo.

È l’ultima Biennale Teatro diretta da Gianni Forte e Stefano Ricci, preceduta da tre edizioni di forte impatto e di gran successo. Le univa la scelta di un colore, substrato comune determinante: estetico, etico, contenutistico, ontologico. Dopo il blu, il rosso e il verde, per il quarto anno i colori sono diventati due, nero e bianco, Niger et Albus. 

Ho incontrato i due direttori a Ca’ Giustinian, sede della Biennale, meraviglioso palazzo affacciato sul Bacino di San Marco. 

Parto proprio dai vostri fil… Rouge, Vert, Bleu. A conclusione di un arco di tre anni di colori primari, il nero e il bianco, per altro non considerati colori. Uniti, inoltre, creano il grigio. Azzardo delle ipotesi: conclusione apocalittica e distopica, dati i tempi oscuri, oppure divisiva e manichea in senso etico, o semplicemente chiarificatrice dello status quo nella sua complessità di coincidentia oppositorum

Gianni Forte: Il progetto della Biennale Teatro 2021/2024, concepito come una tetralogia, si è avventurato in un’indagine sull’Uomo contemporaneo attraverso le sue innumerevoli e complesse sfaccettature, alla maniera della Comédie Humaine di Balzac. Ogni anno è stato caratterizzato da una matrice tematica specifica e un colore distintivo, scelto per agire come principio attivo in grado di contagiarci emotivamente e di condurci in differenti viaggi sensoriali e abracadabranti

Nel 2021 Blue/Blu, come il cielo cupo di Yves Klein e le visioni cromatiche di Derek Jarman, come la volta celeste del Giudizio Universale di Michelangelo che, simultaneamente, infonde pace e atterrisce. Metafora di morte, isolamento e malinconia, ma anche del silenzio maestoso dei teatri vuoti durante la pandemia, dell’angoscia e dell’abbandono, ci ha invitato a riflettere sul dolore personale/collettivo, mutando quest’assenza di voci e suoni in un’eco intima della nostra condizione umana. Segue nel 2022 Rot/Rosso, come il graffio feroce che incita all’azione, un grido d’allarme di libertà e di indipendenza del pensiero. Il colore della parola poetica militante, della passione, della rivolta che infiamma e stimola la metamorfosi, del fuoco inestinguibile del nostro bisogno viscerale di “alterità”. Le fiammeggianti costellazioni dell’invenzione e della resistenza contro i fervori nazionalistici, il patriarcato, i dittatori domestici del quotidiano, le discriminazioni di genere hanno bruciato con intensità, illuminando la nostra battaglia contro le ingiustizie. Invece nel 2023 Emerald/Verde, un invito a riscoprire la meraviglia, ad abbandonarci ad una seconda nascita. Con la pratica del prodigio, della fantasia e dell’immaginazione, ci ha guidato in un viaggio iniziatico di bellezza corrusca, scandagliando l’ignoto dentro e fuori di noi. Ci ha spinto oltre la soglia della realtà verso un mondo sconosciuto, Somewhere Over the Rainbow, al di là dell’arcobaleno, per sondare i nostri limiti e dare alla nostra esistenza un tocco immaginifico, sondando i territori dell’anima con l’audacia dei sognatori.

Infine quest’anno Niger et Albus | Nero e Bianco, due non colori, due manifestazioni della stessa entità. Oltre le apparenze conflittuali, queste due nuances condividono una relazione intrinseca, simbiotica, la cui singolarità non è mai in contrasto ma complementare, integrandosi a vicenda in un continuo gioco di equilibrio e armonia. Penso che questo binomio cromatico possa rappresentare metaforicamente ciò che il nostro duo è stato – non opposita sed diversa, avrebbe detto Gilles Deleuze, cioè “non opposti ma matrici di produzione di differenze” – non divisione, ma biforcazione, come un fiume che si divide in due rami per poi riversarsi nel mare dell’arte, ognuno con la propria corrente, ma sempre parte di un unico vasto oceano che è la vita. 

Stefano Ricci: All’inizio del mandato ho percepito in prima istanza l’esigenza di delineare un progetto che rappresentasse l’intera quadriennalità, lasciando positivamente colpita anche la presidenza, abituata a un disegno annuale. Un progetto nato sul fattore cromatico alla cui base c’è il senso del Tempo. È sempre Crono la questione principale; sicuramente una domanda che mi riguarda personalmente come uomo di teatro e che mi ha sempre accompagnato, ancor prima di diventare direttore artistico: come lo si consuma, lo si attende, lo si progetta. Vent’anni fa sicuramente ne facevamo un uso differente ma questa direzione artistica in Biennale è iniziata durante il Covid: raccontare lo stato fisico di un paziente internazionale che è il teatro, descriverlo per di più in un momento in cui lo stavamo perdendo ha creato tante domande sul Tempo che hanno preso il sopravvento, sono diventate peculiari sul senso di fare teatro. 

Il cromatismo andava a narrare, sicuramente, anche la volontà del riappropriarsi di un’esperienza relativa al ripristino di un senso dello stupore relativo al proprio lavoro, ma anche al Teatro come qualcosa che avesse a che fare, lo hai detto poco fa, con l’etica e la morale. Da questa riflessione ho creduto che utilizzare la tavolozza dei colori a disposizione come fossero tinte sinfoniche rivelasse non soltanto una possibilità di decodificare l’evoluzione dell’arte teatrale, ma la nostra stessa esistenza, i fallimenti, i tentativi di rimetterci in gioco di continuo. 

Ovviamente tale percorso è molto legato allo specifico individuale: mi sono trovato a occuparmi del mandato in un momento in cui rimettevo in discussione non il valore di questo mestiere ma il come investire il ciclo vitale concesso dopo uno stop planetario: le diverse sfumature di colore raccontavano la possibilità di restituirgli una dignità che nel tempo, che con la pandemia si era perduta. 

Invece, le posizioni apparentemente in contrasto di bianco e nero in qualche modo sono la summa, la cartina al tornasole di questo mandato: assumere delle posizioni precise rispetto alla propria esistenza, al proprio fare, a una disciplina artistica che invita a non essere intolleranti o sordi alle curiosità, anzi, a recuperare il coraggio, saper prendere decisioni. Lei ha giustamente intuito il grigio: siamo avvolti da miliardi di sfumature di grigio. Nella mia personale visione cromatica tali nuances raccontano una non presa di posizione, un lasciarsi andare allo sta andando così, seguiamo la corrente. Per me non è mai stato così arrendevole il punto, non perché sia un dicotomico rivoluzionario/reazionario o contestatore ma semplicemente per la mia curiosità di affrontare ogni volta l’essere regista, autore, direttore artistico, nel tentativo di comprendere come si organizza questo tempo intorno alla costruzione artistica, al rito della condivisione di un’arte che serva a terzi.

E a cosa serve la scelta del latino? Quale compito delegate a Niger et Albus?

GF: L’utilizzo del latino conferisce un senso di atemporalità e universalità: è una lingua che ha radici ben consolidate nella cultura occidentale ed evoca una connessione tra Tradizione/Passato e Presente. Niger et Albus trascende la mera traduzione letterale di Nero e Bianco arrecando con sé un ricco bagaglio semantico e concettuale che attraversa le epoche. Utilizzata in situazioni e contesti specifici, come quello attuale, questa espressione ci sprona alla valutazione guardinga dei dualismi, contrasti o polarità presenti nelle dinamiche politiche, storiche, sociali e culturali del nostro tempo. 

SR: Il latino, pur essendo una lingua morta, racconta una solidità, profondità, un’età dell’oro, di civiltà che appartiene profondamente al palcoscenico, ma che abbiamo compromesso, lasciandola diventare un’a…

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