Consumatore sovrano e neutralità tecnologica: miti o certezze?

DIALOGHI SOPRA I MASSIMI SISTEMI D’IMPRESA / Secondo la retorica dominante non ci sono alternative al totalitarismo del mercato, il consumatore finale è il moderno principe e i processi innovativi sono oggettivi. È davvero così? Un dialogo sopra i massimi sistemi d’impresa tra un critico dei rapporti di dominio, Pierfranco Pellizzetti, e l’avvocato d’affari Matteo Bonelli.

DIALOGHI SOPRA I MASSIMI SISTEMI DI IMPRESA /2: Autunno del ciclo economico: retoriche e conflitti
Dialogo tra Pierfranco Pellizzetti e Giovanni di Corato, CEO di Amundi Real Estate SGR.


Caro Matteo [1],

«Il cliente che, insoddisfatto del prodotto di un’azienda, passa a quello di un’altra, usa il mercato per salvaguardare il proprio benessere o migliorare il proprio stato» [2]. – Albert O. Hirschman

«Una nuova invenzione non fa che aprire una porta. Ma non costringe nessuno a entrarvi» [3]. – Fernand Braudel

There are not alternative (?)

Talvolta ho l’impressione che la retorica prescrittiva del mainstream d’establishment, prima ancora che pretendere di convincerci che “questo è il migliore dei mondi possibili”, vorrebbe confermarsi che “questo è l’unico dei mondi possibili”.

A tale proposito, una trentina di anni fa, il filosofo francese Cornelius Castoriadis parlava di “un totalitarismo immanente all’immaginario capitalista” come one best way: una disciplina meccanicamente obbligata [4]. Operazione psico-ideologica di occultamento a fini confermativi dei rapporti vigenti, che non di rado si traduce in due narrazioni sinergiche: l’una edificante (il vero dominus dello scambio economico sarebbe il consumatore finale), l’altra accreditante (i processi innovativi sarebbero oggettivi, in quanto tracciati dalle caratteristiche intrinseche della tecnologia).

Riguardo al primo aspetto, leggo nel tuo saggio dell’anno scorso che «le imprese in cui arde il fuoco della concorrenza considerano i propri clienti come i loro veri padroni. […] Un’insolita inversione dell’ordine naturale di priorità degli stakeholders» [5].

L’idea del “consumatore come moderno principe” ha trovato dalle nostre parti il suo massimo teorizzatore in Bruno Leoni (“il Beria” di Friedrich Hayek, quale segretario del club di liberali da Guerra Fredda odiatori di Keynes, autodefiniti “bolscevichi della libertà”, che si riunivano negli anni Cinquanta sul lago Lemano: la Mont Pélerin Society): «il processo produttivo industriale nei Paesi occidentali è ancora originato e sostenuto dall’iniziativa i soggetti privati che non hanno a loro disposizione la polizia o l’esercito per costringere i consumatori ad acquistare i prodotti che essi mettono sul mercato. […] Mentre studiano come attirare il consumatore, sanno che in ultima analisi devono servire il consumatore, soddisfare la sua volontà ed esaudire i suoi capricci, sotto la minaccia di accumulare perdite» [6].

Nel suo caso l’impressione è quella di una visione edulcorata della realtà che mimetizza i rapporti di forza in essere, tipica della pamphlettistica depistant…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.