Stiamo rallentando? Luci e ombre dell’ipotesi dello “slowdown”

Nel saggio “Rallentare. La fine della grande accelerazione e perché è un bene” (Raffaello Cortina, 2021) il geografo britannico Danny Dorling porta solidi argomenti a sostegno della tesi che le dinamiche demografiche e tecnologiche non siano più espansive come qualche decennio fa. Ma la sua analisi appare meno convincente quando affronta i problemi dell’ambiente e della crescita economica.

Secondo una recente autorevole letteratura scientifica, la Terra, dagli anni 1950, è entrata nel periodo della “Grande accelerazione”: tutti i principali indicatori globali delle attività umane (incremento della popolazione, crescita del PIL, consumo di energia e così via) e tutti quelli che rilevano le variazioni dei maggiori fattori ambientali (biodiversità, ciclo del carbonio e dell’azoto, temperatura di superfice e così via) si espandono esponenzialmente [1]. Tuttavia, non di rado succede nelle indagini scientifiche che il momento della scoperta di un fenomeno coincide con l’inizio del suo declino. Alcuni ricercatori sostengono che, in effetti, la Grande accelerazione appartiene ormai al passato e che sta affermandosi uno Slowdown, un rallentamento generalizzato che spinge le società umane ed il Pianeta verso la stabilizzazione. Tra questi studiosi spicca il geografo britannico Danny Dorling, che ha illustrato e difeso questa tesi in un’ampia monografia, densa di dati empirici [2].

I processi che più robustamente possono supportare l’idea di una progressiva decelerazione sociale riguardano la demografia e la tecnologia. La popolazione è in diminuzione nella maggior parte dei Paesi perché la gente fa pochi figli. Anche in India e Africa sub-sahariana, che erano l’incubo demografico del pianeta, la fertilità sta rallentando ed entro qualche decennio la popolazione comincerà a diminuire. Secondo le previsioni più attendibili, l’umanità si stabilizzerà numericamente entro il 2050, per poi iniziare a contrarsi. Ovviamente, vengono avanzate molteplici spiegazioni del perché la gente fa pochi figli: sul versante delle scelte individuali, le maggiori determinanti sembrano essere l’emancipazione femminile, i migliori livelli d’istruzione, la diffusione dei metodi contraccettivi e l’incertezza intorno alle prospettive occupazionali e reddituali; sul versante collettivo, tenderemo in media a mettere al mondo pochi figli nella consapevolezza che essi ci sopravvivranno e che la società si prender…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.