Laissez nous faire come back. Due industrialisti tra ottimismo e pessimismo

DIALOGHI SOPRA I MASSIMI SISTEMI D’IMPRESA / 3. Riconversione green e responsabilità sociale dell’impresa: come trovare un nuovo equilibrio tra l’interesse privato e la regolazione pubblica? Un confronto su evoluzioni e gattopardismi della ristrutturazione capitalistica in corso tra Pierfranco Pellizzetti e Antonio Gozzi, presidente del Gruppo Duferco.

DIALOGHI SOPRA I MASSIMI SISTEMI D’IMPRESA

1: Consumatore sovrano e neutralità tecnologica: miti o certezze?
Dialogo tra Pierfranco Pellizzetti e l’avvocato d’affari Matteo Bonelli.

2: Autunno del ciclo economico: retoriche e conflitti
Dialogo tra Pierfranco Pellizzetti e Giovanni di Corato, CEO di Amundi Real Estate SGR.


Caro Professor Gozzi[1],

«Questa ipotesi secondo cui una selezione naturale senza

impedimenti conduce al progresso è solo una delle due

 che, interpretate alla lettera, sono diventate i pilastri del

laissez-faire, l’altra è l’efficacia anzi, la necessità dell’

arricchimento personale illimitato come incentivo»[2].

John Maynard Keynes

«Per quanto la governance di un’impresa privata possa

risultare disorganica, il suo sistema di relazioni – che si

fonda essenzialmente sui diritti di proprietà, libertà e

iniziativa economica – preme costantemente per renderla

più efficiente. Ciò non accade nel settore pubblico»[3].

Matteo Bonelli

Capitale paziente, capitale impaziente

In un nostro recente scambio di opinioni, lei propugnava con decisione il concetto che la riconversione industriale al green avverrà in quanto trainata da deliberate strategie aziendali o non sarà: «l’industria è già da tempo in marcia sul cammino della transizione energetica. Anche se gli uomini “del fare” non sono troppo attrezzati mentalmente “al dire”. Quel dire capace di spiegare alla pubblica opinione la desiderabilità del ruolo dell’impresa. Chi lo sa che oggi l’elettrosiderurgia emette CO2 dieci volte meno delle lavorazioni tradizionali (altoforno) e che sta funzionando come la più grande macchina al servizio dell’economia circolare?».

Vorrei partire da questa sua affermazione visto che, come vecchio e inveterato industrialista ne sarei affascinato, mentre – da pervicace critico della concreta fenomenologia del comando manageriale-padronale – continuo a nutrire profondi dubbi al riguardo. Lo dico mentre mi risuonano ancora nelle orecchie le ormai antiche parole (1984) di un intellettuale francese che (se posso permettermi) dovrebbe appartenere al suo stesso campo politico-culturale liberal-socialista – Alain Minc – il quale dichiarava che «il capitalismo si nutre dello squilibrio permanente. Per cui identificarlo con l’intangibilità dell’ordine sociale è un sofisma di destra, mentre votarlo a morte naturale risulta un sofisma di sinistra»[4].

Il problema – semmai – è quali siano le aspettative ragionevoli che possiamo formulare nei confronti del capitale, nella sua duplice natura pubblica e privata. A prescindere dalla presa d’atto che oggi – e da almeno un quattro decenni, dalla svolta NeoLib/NeoCon tha…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.