Ferraris: “Non siamo schiavi della tecnologia, ma suoi padroni”

“La tecnica non è alienazione ma rivelazione dell’umano”. Nel suo ultimo libro (“Documanità. Filosofia del mondo nuovo”, Laterza) Maurizio Ferraris smonta molti dei luoghi comuni sul rapporto fra esseri umani e tecnologia. E invita a governare dei cambiamenti che, oltre a essere inevitabili, sono anche auspicabili.

Non siamo destinati a soccombere allo strapotere delle macchine, la tecnologia non è alienazione ma rivelazione dell’umano, l’automazione ci ha liberato e continuerà a liberarci dalla fatica, senza toglierci la nostra umanità, che sta principalmente nell’essere consumatori. Nel suo ultimo libro, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, di recente uscito per Laterza, il filosofo Maurizio Ferraris smonta diversi luoghi comuni che, specie a sinistra, imperversano sul rapporto fra umani e tecnologia e ci invita a guardare con ottimismo al futuro.

Il linguaggio e la capacità di documentare e trasmettere conoscenze sono fra le caratteristiche che hanno consentito lo straordinario sviluppo di Homo sapiens. Con il web questa capacità si è ampliata in maniera esponenziale. Siamo di fronte a una rivoluzione antropologica? Cosa dobbiamo attenderci dal futuro?

Noi siamo cresciuti nel mito dell’Homo faber, quello rappresentato con l’incudine e martello sulle vecchie monete da 50 lire. Ora indubbiamente quella dell’Homo faber è stata un’epoca importante della storia dell’umanità, ma un’epoca che ha avuto un inizio (i nostri antenati infatti non erano faber, non erano produttori, ma raccoglitori) e potrebbe auspicabilmente avere una fine. Nulla infatti ci impedisce di pensare che l’automazione possa raggiungere un livello tale da far sì che non ci sia più bisogno dell’umano come produttore. Tutto ciò da un lato ci fa paura ma, per spaventevole e orrendo che possa essere questo mondo nuovo che si fa avanti, non sarà mai così spaventevole e orrendo come il mondo vecchio che ci siamo lasciati indietro. Noi soffriamo di una specie di complesso dell’età dell’oro per cui si pensa che prima si stava enormemente meglio. Ebbene, facciamo il conto. Torniamo indietro di cent’anni e troviamo la spagnola a causa della quale le persone morivano come mosche. Un’epoca nella quale si trovava del tutto normale mandare decine di migliaia di giovani di vent’anni ad ammazzarsi gli uni contro gli altri e si considerava che fosse degno di un essere umano starsene per dieci ore a una catena di montaggio. Andando molto più avanti nel tempo, fino a non molti decenni fa si trovava normale che una persona andasse in un ufficio alla mattina alle 9 e cominciasse a scrivere sotto dettatura per otto ore, poi finiva e tornava a casa. Adesso che ci sono i computer ci sembra inumano. Quindi non c’è dubbio che ci siamo liberati da molti aspetti faticosi del lavoro. Altri diranno: però ci siamo anche liberati del lavoro, nel senso che ci sono moltissime persone che non hanno più un lavoro. È questo il problema, che però si può risolvere soltanto cercando di concettualizzare il mondo nuovo che si fa avanti invece di continuare a guardarlo con le categorie del mondo vecchio.

Se tramonta il mito dell’Homo faber, se non siamo più principalmente produttori, allora cosa siamo?

Siamo consumatori. Lo so, è una parola che ormai è diventata quasi una parolaccia. Ma se ci pensiamo bene, mentre possiamo facilmente immaginare delle macchine che possano sostituirci in tutti i compiti di produzione, non possiamo neanche immaginare una macchina che ci sostituisca in quanto consumatori. Uno che dicesse “ho inventato una macchina per consumare il sushi” sarebbe esposto al ludibrio universale perché tutto il sistema di produzione del sushi è lì soltanto perché ci sono poi delle persone che vogliono mangiarlo. Se fai una macchina per mangiare il sushi fai una macchina assurda, inutile, autocontraddittoria. Così come possiamo immaginare una macchina che riproduce fedelmente dei quadri o addirittura che ne produce di nuovi, non possiamo immaginare una macchina che gode di fronte a un dipinto (e neanche una che gode nel farlo, per questo anche la più sofisticata delle …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.