“Avevano paura del suo potere. Avevano paura del suo amore”

Sono passati cinquant’anni dalla morte di George Jackson, militante del Black Panther Party, simbolo dell’incarcerazione di massa dei neri, ucciso da una guardia nel carcere di San Quintino.

I woke up this mornin’,

There were tears in my bed.

They killed a man I really loved

Shot him through the head.

È il 4 novembre del 1971 quando Bob Dylan incide la canzone da cui sono tratti questi versi. L’uomo che amava molto e per la morte del quale aveva bagnato di lacrime il cuscino era George Jackson, militante del Black Panther Party ucciso nel carcere di San Quintino due mesi prima, il 21 agosto del 1971. Esattamente cinquant’anni fa. 

Al momento della sua morte, Jackson aveva già trascorso dieci anni in carcere. Nel 1960 era stato accusato di aver guidato un’auto durante una rapina a mano armata a un distributore di benzina. Bottino: 70 dollari. Dentro e fuori di prigione dall’età di 15 anni, in quell’occasione viene condannato al carcere a tempo indeterminato: da un anno a fine pena mai. Una commissione è incaricata di vagliare il caso ogni anno. 

«Ho accettato di confessare in cambio di una leggera pena detentiva», scrive nel suo libro Fratelli di Soledad. Lettere dal carcere, pubblicato nel 1970. «Quando è arrivato il momento della sentenza, mi hanno buttato nel penitenziario con una pena da un anno a vita. Era il 1960. Avevo 18 anni. Da allora sono qui».

È in carcere che Jackson inizia il suo percorso di politicizzazione («Quando sono entrato in prigione ho incontrato Marx, Lenin, Trotsky, Engels e Mao e mi hanno riscattato»), percorso che lo porterà, tra le altre cose, a fondare insieme ad altri la Black Guerilla Family, braccio carcerario del Black Power. 

Trasferito nel carcere di Soledad, nel 1970 viene accusato assieme ad altri due prigionieri neri, Fleeta Drumgo e John Cluchette (i tre saranno poi conosciuti come “Soledad Brothers”), dell’uccisione di una guardia bianca, John Mills, picchiata e scaraventata giù dal terzo piano, tre giorni dopo la morte nello stesso carcere di tre detenuti neri per mano di un’altra guardia bianca. 

In attesa del processo, i Soledad Brothers vengono trasferiti nel blocco di massima sicurezza di San Quintino. Rischiano la pena di morte. La loro difesa diviene una delle priorità del movimento nero e vede tra gli altri in prima linea Angela Davis. Un impegno che le cambierà la vita: il contatto con questa vicenda la condurrà infatti in prigione. Verrà incarcerata nel 1970 con l’accusa di rapimento, cospirazione e omicidio (sarà poi assolta da tutte le accuse) perché una p…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
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Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.