I danni sociali delle pseudoscienze

Le pseudoscienze – dalle classiche astrologia, cartomanzia e omeopatia fino a quelle più bizzarre – seducono perché promettono soluzioni semplici a problemi complessi e concordano con i nostri bias cognitivi. Ma possono comportare notevolissimi rischi, tanto più se a confidare in loro sono i nostri decisori politici.

Le pseudoscienze sono quelle discipline che apparentemente possono sembrare scientifiche ma che, a un esame più approfondito, rivelano di non possedere le caratteristiche tipiche della scienza. In altre parole le loro affermazioni non sono riconducibili al metodo scientifico e non trovano conferme nei controlli empirici.

Spesso i loro contenuti sono suadenti e promettono soluzioni semplici a problemi complessi. È noto che la scienza è invece contro-intuitiva e spesso le sue affermazioni sono in contrasto con il nostro senso comune. Prova ne è che essa sia stata una conquista piuttosto tardiva dell’umanità.

Le pseudoscienze appaiono convincenti perché soddisfano la nostra intuizione immediata e concordano con i nostri bias cognitivi. Come ci insegnano gli evoluzionisti, questi bias (chiamati spesso euristiche, anche se c’è una leggera differenza tra i due termini) in passato ci hanno aiutato a sopravvivere fornendoci risposte immediate a molti problemi della nostra esistenza. Tuttavia noi oggi viviamo in un ambiente molto diverso da quello in cui ci siamo evoluti e i problemi che dobbiamo affrontare sono molto più complessi di quelli del passato. Gilberto Corbellini, a tale proposito, fa un interessante paragone e afferma: “Se poi l’ambiente cambia e ci ritroviamo a vivere in un mondo dove sarebbe meglio usare la razionalità calcolatoria, dobbiamo pagare un prezzo perché la selezione naturale non sa prevedere il futuro. Infatti, non l’ha previsto. Per cui ci troviamo a subire gli effetti del mismatch, del disallineamento: come nel caso delle malattie metaboliche, dovute al fatto che la nostra fisiologia è rimasta dettata sugli stili alimentari e di vita del Pleistocene, mentre oggi disponiamo di cibi ipercalorici di cui siamo ancora golosi nonostante non siano più così necessari, e facciamo una vita prevalentemente sedentaria, per cui rischiamo di diventare obesi o sviluppare malattie come il diabete. Mutatis mutandis, anche le forme del pensiero umano che si sviluppano spontaneamente pagano lo stesso scotto” (G. Corbellini, Nel paese della pseudoscienza, Feltrinelli, Milano 2019).

Gli esempi di pseudoscienza sono molteplici. Si va dalle classiche, quali l’astrologia, la cartomanzia e l’omeopatia, fino a quelle più bizzarre, quali la recente “agro omeopatia sistemica”, solo apparentemente più seria dell’alomanzia (previsioni del futuro osservando il comportamento del sale) o della rumpologia (la lettura delle pieghe delle natiche a scopo divinatorio: sì avete letto bene, esiste anche questa!). La fantasia umana poi fa nascere continuamente nuove pseudoscienze.

Le pseudoscienze molto spesso si diffondono attraverso canali che sfruttano l’autorevolezza di certi personaggi, addirittura premi Nobel. È il caso, ad esempio, di Luc Montagnier (n. 1932), Nobel per la medicina nel 2008, che in diverse occasioni si è reso protagonista della diffusione di vere e proprie bufale scientifiche

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.