Germania, la crisi del clima come crisi della democrazia

Per molto tempo Berlino ha goduto dell’immagine di paladina nella lotta per l’ambiente. La realtà è un’altra, anche se in vista delle elezioni federali del 26 settembre i Verdi stanno diventando uno dei partiti più forti. La crisi del clima è la crisi dell’idea che la soluzione dei nostri problemi possa arrivare solo dai partiti e dai governi.

Nel XX secolo la democrazia rappresentativa è stata introdotta in Paesi come l’Italia e la Germania anche per disinnescare i conflitti sociali, che avevano caratterizzato la fase precedente. Essa permetteva di istituzionalizzare i problemi, lo scontento e la protesta. Nel tempo i cittadini sono stati però abituati più a consumare la politica, che non a farla. Ci si è aspettato che fossero i governi a risolvere i problemi globali e che la trasformazione sostenibile potesse venire dall’alto verso il basso. Ma oggi questa idea sta perdendo di credibilità.

Dalla prima Conferenza sull’ambiente delle Nazioni Unite sono ormai passati cinquant’anni, dal Summit della Terra di Rio de Janeiro trenta, ma la crisi globale non si è alleviata, bensì aggravata. Nel novembre 2021 si svolgerà la 26esima Conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico (COP-26), ma dalla prima conferenza del 1995 le emissioni globali del gas maggiormente responsabile dell’effetto serra (l’anidride carbonica) sono aumentate del 56 percento.[1] La prognosi del sesto Rapporto sul clima, pubblicato nell’agosto 2021 dall’ONU, è drammatica,[2] anche se non contiene veramente elementi nuovi: conferma perlopiù allarmi che per decenni sono rimasti inascoltati.

Non sempre gli obiettivi politici dichiarati dai governi coincidono con quelli reali: finita la Guerra Fredda essi sottoscrissero nel 1992 a Rio de Janeiro l’Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile, lavorando però allo stesso tempo per una globalizzazione neoliberale insostenibile. Un programma, che non è stato abbracciato solo dai partiti conservatori, ma anche da quelli socialdemocratici, come ad esempio il Labour di Tony Blair in Gran Bretagna. In Germania è stato il governo rosso-verde di Gerhard Schröder ad imporre nel 2003 una grande riforma neoliberale (Agenda 2010), con un duro taglio della previdenza sociale e una forte liberalizzazione del mercato del lavoro. Mentre il governo precedente (quello di Helmut Kohl fra cristiano-democratici e liberali) aveva provveduto ad eliminare la tassa patrimoniale, quello di Schröder (Socialdemocratici e Verdi) abbassò la tassazione dei redditi più alti dal 53 al 42 percento.[3] In altre parole: i servizi sociali sono stati ridotti per poter abbassare le t…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.