12 settembre 1974: la caduta di Hailé Selassié

Potere e caduta di Hailé Selassié, l’ultimo imperatore d’Etiopia arrestato il 12 settembre del 1974. Pubblichiamo il primo di una serie di articoli dedicati al paese africano, oggi teatro di una sanguinosa guerra civile.

Questo è il primo di una serie di articoli con cui vogliamo raccontare l’Etiopia attraverso le quattro personalità politiche che l’hanno caratterizzata negli ultimi cento anni: l’imperatore Hailé Selassié (per raccontare cos’era il paese fino al 1974); il dittatore comunista Menghistu Hailé Mariam detto il “Negus rosso” che fa uscire il paese dal Feudalesimo portandolo in un incubo sovietico con mezzo milione di morti nei primi anni di regime; il primo premier democratico della storia, il tigrino Meles Zenawi che prende il potere nel 1995; il suo successore Hailé Mariam Desalegn e l’attuale premier Aiby Ahmed Alì, Nobel per la Pace nel 2019 per le trattative con l’Eritrea, che rischia di vedere il paese disgregarsi per i profondi e complessi conflitti etnici e politici.  

Tra i Paesi poveri del pianeta, l’Etiopia è quello che negli ultimi decenni è cresciuto di più. Pur essendo la più grande nazione al mondo senza uno sbocco in mare e pur senza materie prime, fino a oggi l’Etiopia era riuscita ad assumere una funzione di rilievo nel delicatissimo scacchiere del Corno d’Africa, estremamente precario e strategico per gli equilibri geo-politici di quella parte del mondo. Grazie alle eccezionali capacità dei suoi governanti, l’Etiopia era stata capace di valorizzare la tradizione millenaria di stato cristiano e di creare alleanze internazionali con gli Stati Uniti d’America e l’Unione europea, assumendo un ruolo importante nel contrasto allo jihadismo (è uno dei Paesi del continente africano con una base operativa per i droni americani), e allo stesso tempo la Cina comunista, con l’ex premier Meles Zenawi ispiratore e vicepresidente del Forum on China-Africa Cooperation che dal Duemila in poi ha permesso la massiccia penetrazione della Cina in Africa. 

Oggi l’Etiopia è però teatro di una sanguinosa guerra civile che potrebbe avere conseguenze sia interne, mandando in frantumi il complesso mosaico etiopico composto da oltre ottanta etnie che sostengono la complessa costituzione etno-federalista del 1995 (“pax zenawiana”), sia esterne destabilizzando ancora di più il Corno d’Africa. 

*** 

C’è una foto esposta nel “Red Terror” Martyrs’ Museum di Addis Abeba che racconta la fine dell’imperatore d’Etiopia Haile Selassie I. Dopo l’arresto, l’imperatore, circondato dai militari, è condotto fuori dal suo palazzo. Lo scatto cristallizza il momento in cui, attonito, si trova davanti non alla sua solita coda di Mercedes nere, ma a un Maggiolino che lo aspetta per portarlo via: una Volkswagen, l’autovettura del popolo. L’uomo che ha sconfitto il fascismo proletario in Abissinia, il duecentoventicinquesimo discendente di Re Salomone e della Regina di Saba, esce di scena come un delinquente comune. Sull’angolo sinistro della foto, si nota un militare che fa segno al fotografo di non scattare. La foto invece farà il giro del paese e colpirà nel segno. Al contrario dell’imperatore che non aveva capito l’era dell’immagine in cui il mondo stava entrando, la giunta militare è abilissima a gestire la potenza dei mezzi della comunicazione visuale.  

È il 12 settembre del 1974. 

Qualche mese prima, in un clima di rivolta nelle scuole e nelle università, si era costituito il Derg, Consiglio di Coordinamento delle Forze Armate, centonove militari insorti, rappresentanti delle varie divisioni dell’esercito che avevano l’obiettivo di far uscire l’Etiopia dal feudalesimo, abolire la servitù della gleba, aumentare l’alfabetizzazione, realizzare una vera riforma agraria per interrompere le continue carestie che flagellavano il paese uccidendo centinaia di migliaia di persone. Con il suo solito realismo politico, l’imperatore aveva provato a dialogare anche con i militari insorti: «Se la rivoluzione avviene per il bene del popolo, sono favorevole alla rivoluzione».  

Nel Derg c’è chi pensa a una transizione morbida, anche perché l’imperatore è un mito vivente, benvoluto dal mondo intero e, per alcuni, come per esempio i …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.