Le parole sono importanti per cambiare il mondo

La lotta politica si svolge anche sul terreno dei significati delle parole. Se uso ‘fragilità’ al posto di ‘oppressione’, ad esempio, faccio sparire gli oppressori. Poiché il lessico che utilizziamo indica e consolida una visione del mondo, contro il neoliberismo dominante è indispensabile condurre una battaglia culturale con un linguaggio autonomo e unificante.

Le parole cambiano. Il nostro lessico, cioè l’insieme degli elementi che formano un sistema linguistico, cambia nel corso del tempo: alcuni termini (singole parole e locuzioni) cadono in disuso, altri nascono e si diffondono più o meno rapidamente, diversi ambiti sviluppano uno specifico gergo settoriale, cambiano i significanti e i significati.

Lo stesso termine può subire uno slittamento semantico, una deformazione del suo significato; può essere influenzato dalle mode, dall’egemonia di una lingua (oggi l’inglese), dall’ideologia dominante, che è tale proprio perché riesce a imporre i termini e i significati che consolidano e rendono coerente la sua visione del mondo, e disgregano quelle altrui.

Il neoliberismo è diventato egemone anche attraverso il pensiero debole e postmoderno: nella società liquida alcuni significati sono annegati, le parole “pesanti” sono affondate, galleggiano quelle non problematiche, quelle anche “radicali” purché prive di conseguenze. L’ideologia dominante si riflette nei media, che “impongono” alcuni termini e ne stigmatizzano altri (che diventano vetero, residuati novecenteschi, che creano imbarazzo nell’usarli).

Dunque, le parole sono importanti. Se uso il termine oppressione dico anche che c’è una relazione tra un oppresso e un oppressore; se invece uso il termine fragilità indico una condizione, non una relazione che mi permetta di capire immediatamente l’origine della fragilità e gli attori coinvolti.

I termini hanno un campo semantico (un’area di significato) dai confini spesso sfumati, con significati interpretati anche soggettivamente, ma che comunque hanno una base nei rapporti sociali, nelle relazioni intersoggettive. Quindi le parole sono importanti perché indicano una visione del mondo e consolidano una visione del mondo, sono nello stesso tempo strutturate (effetto delle pratiche) e strutturanti (produttrici di pratiche).

L’uso di termini quali oppresso, sfruttato, vessato, indica che ci sono oppressori, sfruttatori, aggressori; significati immediatamente contigui a…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.