Soumahoro: “Federare gli invisibili, ridare rappresentanza alle lotte”

Nella quarta puntata di “La politica che (non) c’è” MicroMega ha intervistato Aboubakar Soumahoro, tra i fondatori di Invisibili in movimento. “Oggi la politica è a un bivio. Guardare nel disagio sociale solo un possibile consenso elettorale oppure impegnarsi per cambiare le condizioni del presente?”.

La politica che (non) c’è: tutte le interviste

“Ci siamo abituati ad accettare che le discriminazioni, le sofferenze, la violenza, la precarietà, il disagio, la rassegnazione siano elementi imprescindibili della nostra vita. Ma non è così”. Queste solo le prime righe della descrizione di Invisibili in movimento, una “federazione” di lotte, vertenze, istanze ed aspirazioni che vede tra i suoi fondatori Aboubakar Soumahoro, protagonista della quarta intervista di “La politica che (non) c’è” per MicroMega+.

“Bisogna riprendere il destino nelle nostre mani” spiega Soumahoro. “Oggi chi è fragile è considerato un debole. Gli insegnanti precari, gli operatori sanitari sfruttati, i lavoratori vittime degli algoritmi, i freelance, i lavoratori delle campagne e quelli delle città, giovani, donne, migranti o persone con background migratorio, coloro i quali vorrebbero lavorare di più e quelli che un lavoro non ce l’hanno più. Questi sono gli invisibili. Tutti noi viviamo delle fragilità. Tanti di noi sono, sono stati o saranno invisibili per un periodo della loro vita. È arrivata l’ora che siano queste persone a illuminare il buio della politica, è arrivata l’ora di accendere la speranza che ci permetterà di essere finalmente visibili agli occhi di tutti e di tutte”.

Soumahoro, stiamo vivendo in un periodo di crisi della politica – come molti dicono – o di crisi della rappresentanza?
Oggi la politica è a un bivio. Da una parte, la trasformazione del disagio sociale in consenso elettorale per non cambiare le condizioni del presente. Dall’altra, la capacità di calarsi nei bassifondi dell’umanità con generosità, altruismo e abnegazione risalendo con un miglioramento delle condizioni materiali ed immateriali.
Oggi è assente questa seconda dimensione della politica, schiacciata dentro le dinamiche della rappresentanza che vive una crisi di autorevolezza.

Eppure, in giro c’è tanta politica.
C’è tanta politica, sì, ma che necessita di un respiro di rappresentanza per trasformare la disperazione in speranza.

Sembrano due mondi non comunicanti, però.
Per questo la nostra azione deve vederci capaci di metterci al servizio degli invisibili.

E in questo scenario si collocano i nuovi movimenti generazionali, con i giovani a riempire le strade per chiedere un impegno concreto per la giustizia ambientale e sociale.
Più che di movimenti, parlerei oggi di “mondi”. Anche il concetto di “generazione” rischia di essere riduttivo. Chi scende in piazza per la giustizia ambientale è un intero mondo, fatto da giovani ma anche da over 40 e oltre. La crisi climatica è una questione intergenerazionale. C’è poi il mondo legato alla giustizia sociale, al mutualismo, che vede in campo tanto l’associazionismo – laico e religioso – quanto i movimenti. Sono veri e propri mondi, non più semplici movimenti in senso astratto.
Un semplice movimento non sarebbe stato in grado di mettere in piedi quanto fatto durante la pandemia, con attività di mutuo soccorso in ogni angolo del Paese a …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.