“Un cambio di civiltà contro l’idolatria liberista”. Intervista a Nicoletta Dentico

La crisi della politica, i movimenti della società civile e la necessità di superare trent’anni di neoliberismo. In questa sesta intervista della serie “La politica che (non) c’è” abbiamo incontrato Nicoletta Dentico, esperta di salute globale ed ex direttrice di Medici Senza Frontiere.

La politica che (non) c’è: tutte le interviste

Giornalista, scrittrice, esperta di salute globale, già coordinatrice della campagna per la messa al bando delle mine e direttrice di Medici Senza Frontiere. Nicoletta Dentico, come responsabile del programma di salute globale di Society for International Development (SID), è oggi in prima fila nella battaglia per l’accesso equo ai vaccini e a tutti gli altri rimedi contro Covid-19. Due recenti libri di cui è autrice – Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (ed. EMI, 2020) e Geopolitica della salute, Covid-19, OMS e la sfida pandemica, scritto con Eduardo Missoni (ed. Rubbettino, 2021) – sono in qualche modo alla base di una discussione che ritorna al G8 di Genova del 2001. Perché, in fondo, la chiave di tutto è ancora lì. Dall’analisi fino all’alternativa politica formulata allora.

Dovremmo parlare di crisi della rappresentanza più che di crisi della politica, visto il grande attivismo della società: è d’accordo?
Concordo, la crisi della rappresentanza è una grave sfida, sotto gli occhi di tutti, ed è legata a doppio filo alla crisi strutturale della politica istituzionale. Lo abbiamo visto anche nel desolante passaggio relativo all’elezione del Presidente della Repubblica, solo l’ultimo frutto velenoso di questa crisi. Tuttavia, il problema a mio avviso è molto più profondo, ed è legato all’abdicazione della politica al proprio ruolo primario. Assistiamo da tempo a un irreversibile indebolimento della percezione di sé della politica formale, dovuto alla fragorosa liquefazione della forma partito, alla fascinazione verso leadership tanto narcisistiche quanto effimere, alla visuale corta dell’azione della politica, schiacciata da un immanente presentismo, quindi priva di una visione complessiva della realtà da costruire con interventi profondi e tempi adeguati. Tutto ciò non contraddice per nulla il fatto che ci sia molta “politica” nella società: a fronte di bisogni sempre più urgenti e disuguaglianze sempre più dolorose, la società ci prova in tutti i modi a colmare i molti vuoti della funzione pubblica organizzandosi in azioni e gruppi che si costituiscono estemporaneamente. La società civile è, per tanti aspetti, in gran fermento, sempre più competente e attiva, con capacità di innovazione non trascurabile.

E in questo scenario desolante, ecco la pandemia.
Siamo a un passaggio delicatissimo e paradossale: la pandemia ha riportato al centro il ruolo dei governi e più in generale la necessità di una funzione pubblica consapevole di sé e della propria responsabilità. Si è finalmente capita la differenza di impatto e l’importanza delle scelte politiche che si fanno a livello nazionale. La durezza del tempo presente ha scatenato la necessità di un cambiamento, l’aspirazione di pensare insieme una società diversa, dopo aver abusato troppo del nostro pianeta, di cui ci siamo sentiti invincibili padroni Ma questa spinta non riesce a farsi strada nella dialettica con una azione della politica sorda, profondamente ripiegata su sé stessa e ferita, inesorabilmente danneggiata dalla penetrazione a tutti i livelli dei grandi interessi economici e finanziari privati, ai quali è sottomessa. Viviamo il paradosso di un vuoto della funzione pubblica anche in un tempo in cui i governi hanno oggettivamente ripreso in m…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.