Una lettura interculturale della crisi del cristianesimo

La crisi del cristianesimo nel pensiero del filosofo cubano Raúl Fornet-Betancourt.

Si sente spesso affermare che il cristianesimo sta attraversando – da lungo tempo, ormai – una fase di crisi: allo scopo di circostanziare tale affermazione piuttosto generica, dobbiamo cercare di chiarire di che crisi si tratti e quali caratteristiche essa possegga. In tal senso vorrei prendere le mosse dall’analisi effettuata dal filosofo cubano Raúl Fornet-Betancourt nel suo Interculturalidad y religión[1] nel quale propone una disamina del tema che trovo estremamente acuta. Scrive:

La crisi della religione non si presenta come un qualcosa che possiamo esaminare o conoscere dall’esterno, come se fosse possibile ridurla a una crisi derivante dalla mancanza di riconoscimento pubblico in seno a una determinata società […] Al contrario, a prescindere dal fatto che ne siamo coscienti o meno, si tratta di una crisi che ci coinvolge e che, pertanto, possiamo conoscere solamente dall’interno, poiché essa riguarda, almeno in parte, le condizioni di possibilità della “costellazione storica” alla quale ricorriamo al fine di ottenere riferimenti fondamentali in ordine alla domanda di senso […] La nostra stessa domanda sulla crisi della religione appartiene a questa stessa crisi: è essa stessa confessione di una crisi in atto.[2]

Una crisi, dunque, pervasiva, che investe e attraversa la nostra interiorità, entro cui trovano spazio la domanda e il disorientamento che essa, al contempo, denuncia e provoca. Crisi che non è possibile ignorare, se non al prezzo di un suo esasperarsi come conseguenza del fatto di non volerne approfondire le cause e chiarirne, sin dove risulti possibile, la fisionomia. La stessa inquietudine da cui la domanda sulla crisi sfocia e si propaga sta lì a testimonianza di un’incertezza che ci abita ancor più e ancor prima di quanto noi non la abitiamo e che ingenera turbamento e smarrimento.

Qual è, però, il contesto nel quale tale crisi si manifesta e si riverbera? Quale il luogo in cui essa si fa sentire con maggiore intensità? Anche a questo interrogativo Fornet-Betancourt risponde mediante un’analisi approfondita, che individua nella crisi attuale una caratteristica contestuale, dacché si tratta, con ogni evidenza, di una crisi che investe la tradizione cristiana dell’Occidente europeo:

Le crisi…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.