Het Boйhe! Il no dei russi alla guerra

Le proteste contro la guerra della società civile russa, tra speranze e repressione.

«Sì, io e i miei amici siamo scesi in piazza. E fuori c’è sempre la polizia». L’anonimato è una delle condizioni poste da N. per rispondere alle poche domande formulate attraverso una chat: un’icona standardizzata sullo schermo di uno smartphone che si illumina. “Sta scrivendo”.
N. è una giovane russa ostinatamente contraria alla guerra in Ucraina. Che si batte – da semplice cittadina immersa nello spazio della routine quotidiana: ha concluso gli studi e oggi è impiegata in un’azienda – contro la cappa di silenzio con cui le istituzioni vorrebbero ingabbiare la contestazione. Il dissenso di N. rispetto alla guerra del presidente Vladimir Putin è assoluto e limpido. «Le proteste sono uno strumento con cui mostrare alla gente che un’opposizione esiste, nonostante il bavaglio dei media mainstream. Vogliamo far vedere che siamo in tanti e che continueremo a lottare», dice.
Una minoranza rumorosa. N. non ha dubbi sulla questione: «Il movimento in Russia c’è, decisamente. Molte persone condividono le loro opinioni su Instagram e Telegram, al lavoro e per strada». E sottolinea: «Nel mio Paese, in molti non vogliono la guerra e non appoggiano le politiche di Putin».

San Pietroburgo, Mosca, Novosibirsk e Rostov sul Don. E non solo. Il movimento è una piovra silenziosa che si dirama nei centri metropolitani della Russia. E la polizia – come dice N. – è sempre lì fuori ad aspettare che i tentacoli si muovano. Le immagini e i video delle proteste hanno fatto il giro del mondo. Presidi rastrellati, manifestanti trascinati con violenza dentro i furgoni, giornalisti accerchiati dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa. L’ordine pubblico e l’azione degli apparati securitari che minano costantemente il diritto alla critica. «Se ti beccano in strada a protestare sono circa 200 euro di multa o 15 giorni di reclusione. Queste “punizioni” possono cambiare in peggio se il governo ti considera un “traditore della patria”», racconta N.

L’organizzazione Ovdinfo.org – un portale di informazione indipendente che si occupa di monitorare le violazioni dei diritti umani in Russia, attraverso il sostegno legale e logistico fornito alle vittime – aggiorna costantemente il suo database sulle detenzioni arbitrarie che scandiscono questi giorni. In decine di città, migliaia di attivisti sono stati colpiti dalla repressione di Stato. Le cifre oscillano per la volatilità dei dati e delle segnalazioni. Le ultime stime attestano che oltre 5 mila cittadini russi sarebbero finiti dietro le sbarre. Sul suo sito, Ovdinfo pubblica gli elenchi con nomi e cognomi degli arrestati (informazioni verificate e certificate dalla piattaforma), suddivisi per ogni distretto e dipartimento di polizia. Il 2 marzo – l’aggiornamento è delle 18:21 – sono state fermate almeno 324 persone in 34 città. Soltanto a Mosca sono state 127. «Ho due figli e non voglio darli a quel maledetto mostro. La gu…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.