Se l’antirazzismo diventa una religione. Intervista a John McWhorter

Secondo lo scrittore nero americano il movimento antirazzista contemporaneo è più interessato a mettere a posto la coscienza dei propri sostenitori che a migliorare le reali condizioni di vita dei neri.

Chiunque legga il suo nuovo libro – Woke Racism – si rende subito conto che lei non tiene molto in considerazione l’antirazzismo contemporaneo. Cosa c’è di sbagliato in un movimento politico che ha fatto della lotta al razzismo il suo scopo?

Il libro, e la mia rabbia, sono rivolti principalmente ai bianchi che si definiscono nostri alleati, ma che purtroppo sono più interessati a mostrare agli altri quanto sono buoni e virtuosi che a fare qualcosa per cambiare la vita dei neri che vivono in povertà, un quinto della popolazione nera.

Può farci un esempio di questo atteggiamento?

Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, ci sono stati ripetuti casi di poliziotti bianchi che hanno ucciso cittadini neri. George Floyd è il più famoso di una serie di casi inaccettabili. Ma gli antirazzisti parlano molto meno del fatto che in America una persona nera rischia molto più frequentemente di essere uccisa da un’altra persona nera nel suo stesso quartiere che da un poliziotto bianco.ù

Perché?

In alcuni quartieri neri poveri, la violenza delle armi è endemica, la gente muore nelle faide tra bande rivali o perché colpita da una pallottola vagante. Ci sono città dove in un anno centinaia di neri vengono uccisi da altri neri, mentre a essere uccisi da poliziotti bianchi sono forse in due. Gli antirazzisti dicono che è peggio quando lo Stato uccide per motivi razzisti. Ma questo non ha senso, soprattutto non per una madre che perde suo figlio. Definisco gli antirazzisti di oggi “gli Eletti” perché si sentono portatori di una saggezza superiore. Credono di diffondere una sorta di buona novella nel senso del cristianesimo fondamentalista, che vorrebbero fosse accolta dal resto del mondo. Si vedono come persone in anticipo sui tempi, una classe speciale di persone con un intuito inestimabile.

Perché pensa che la protesta contro la violenza della polizia bianca sia più forte dell’impegno per pacificare questi quartieri?

Perché …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.