Sette giorni di guerra

I primi drammatici giorni dell’invasione russa nel racconto in presa diretta di Valerio Nicolosi.

Il bunker di Andrej non è davvero un bunker, lui e la sua famiglia lo chiamano così ma in realtà è uno scantinato al piano terra, con due bagni e sedie sparse. In tutto ci saranno dieci posti «ma la notte siamo più di trenta» racconta mentre ce lo mostra. Il palazzo di Andrej è nella periferia a nord ovest di Kiev, ha 11 piani e diverse scale: tipica edilizia popolare dell’est, edificato a metà degli anni Ottanta, quando uno scantinato poteva essere progettato come un bunker in caso di attacco della Nato. La strada, un’ora dopo la fine del coprifuoco imposto all’esercito ucraino, è deserta.

Andrej ha 20 anni, studia per diventare informatico e dell’Unione Sovietica sa poco o niente. Fino all’inizio dell’assedio di Kiev, per Andrej il “bunker” era il luogo dove giocava da piccolo con i suoi amici, un posto buio e umido dove fantasticare di invasioni aliene e guerre intergalattiche.

«Invece la guerra ce la fanno i nostri cugini, i nostri fratelli. Io ho parenti in Russia, parlo il russo e non ho mai avuto nulla contro la Russia» ci racconta nella penombra di una nicchia del bunker, dove ha passato l’ultima notte. «Ma sono contro Putin, questo sì» aggiunge in uno scatto di rabbia. L’odio di Andrej per il presidente russo non nasce oggi, viene da un modello di società diverso da quello che Putin ha imposto in Russia da anni, senza diritti e con l’economia in mano a pochi. I giovani di Kiev sono abituati a una città aperta e internazionale, dove si possono incontrare studenti provenienti da altri Paesi e dove il modello da seguire per i diritti è quello europeo. «Con la rivoluzione del 2014 abbiamo deciso di riprenderci il futuro, ci siamo riusciti solo in parte perché qui il nazionalismo è un problema» chiosa mentre accosta la porta del bunker e torniamo in strada.

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Il nazionalismo ucraino, molto esaltato in questi giorni di guerra, è uno dei grandi temi non affronta…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.