L’ignoranza occidentale: il soft power di Putin

La mancanza di curiosità da parte dell’Europa occidentale verso quella centrale e orientale ha un lato molto oscuro: è diventata il soft power di Putin. Il dittatore di Mosca ha infatti usato l’ignoranza dell’Occidente per fare la guerra ed espandere il suo impero in Europa.

Com’è possibile che il mondo occidentale, compresa la Svezia, sia stato così ingenuo nei confronti di Putin e delle sue ambizioni imperialiste per così tanti anni? Una ragione ovvia è che, anno dopo anno, non si è dato ascolto agli avvertimenti. Quelli lanciati da think tanks, scienziati politici, storici, scrittori provenienti da Paesi che erano stati occupati dall’Unione Sovietica o da essa controllati in quanto Stati satellite. E che invece sono stati bollati come “russofobi”.

Uno dei motivi per cui ciò è accaduto risiede in una mal celata verità: vale a dire che l’aspetto mentale della cortina di ferro non è mai scomparso dall’Europa. Vecchie gerarchie e una visione generalmente paternalistica dei Paesi dell'”Est” (spesso situati nell’Europa centrale) sono ancora all’opera. Dopo la caduta del comunismo, si è guardato a Paesi come Estonia, Polonia, Ucraina, Romania, Lituania eccetera come a cugini poveri e forse un po’ arretrati, che hanno dovuto imparare a vivere in Europa. La loro esperienza storica, la loro cultura e la loro saggezza non sono state considerate molto importanti.

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Lasciate che vi ricordi quanto tempo ci è voluto prima che in Svezia si iniziasse a informare l’opinione pubblica circa i crimini del comunismo. Nel 1998, Gudrun Schyman del Vänsterpartiet [Partito della sinistra] pensava che si dovesse parlare della tratta transatlantica degli schiavi anziché dell’anticomunismo[1].

Dopo la creazione del Forum för levande historia [Forum per la storia vivente], fondato per promuovere la democrazia diffondendo informazioni sui crimini contro l’umanità, ci sono voluti diversi anni prima che esso iniziasse a informare il pubblico sui crimini di Stalin e sui gulag. È anche un paradosso ironico che, in tempi in cui il post-colonialismo è così al centro dell’attenzione, non si sia notato il fatto ovvio che la storia coloniale interna dell’Europa riguarda in primo luogo le ambizioni imperialiste della Russia e le sue vittime. Questa storia è andata avanti per la maggior parte del secolo scorso e, come tutti ora capiscono, continua oggi. I Paesi che sono riusciti a liberarsi dalla potenza occupante russa non hanno avuto lo spazio necessario per vedere la loro cultura e la loro identità riconosciute a livello internazionale.

Una delle ragioni per cui l’annessione della Crimea nel 2014 ha causato così poche sanzioni contro la Russia risiede nel fatto che non c’era la sensazion…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.