Sglobalizzazione

Un’economia globalizzata si regge sull’assunto che il suo ordine sia più importante delle variabili politiche nazionali: i capitali si muovono liberamente tra banche di diversi Paesi se sono ugualmente al sicuro in ognuno di essi. La guerra in Ucraina ha inferto una ferita (insanabile?) alla globalizzazione, ossia la perdita di fiducia nel primato della finanza sulla politica.

“L’invasione russa dell’Ucraina ha posto un termine alla globalizzazione quale l’abbiamo vissuta negli ultimi tre decenni”: possiamo starne certi, se a dirlo è Larry Fink, CEO di BlackRock, la più grande società di investimenti al mondo, che gestisce asset per 10 trilioni di dollari. Sperando che la situazione non vada fuori controllo, incrociando le dita e toccando ferro in Italia, legno nei paesi anglosassoni, una volta che le armi si siano zittite, sarà questo uno degli effetti che si faranno sentire più a lungo lontano dal campo di battaglia (tra le macerie europee sarà tutta un’altra musica).

Non significa che il mondo tornerà immediatamente alle economie regionali, alle barriere tariffarie e alla disciplina dei movimenti di capitale. La globalizzazione implica un’infrastruttura materiale troppo gigantesca, ciclopica, per smontarla facilmente: per rendersene conto basta guardare a un grande porto di container come Busan o Rotterdam. O, ancora meglio, aprire il sito che mostra la posizione di tutte le imbarcazioni che solcano oceani e mari in un dato momento in tutto il pianeta (potete zoomare o allargare il campo): è impressionante.

Ma non si può nemmeno sottovalutare quel che sta succedendo nell’economia e – soprattutto – nella finanza. Perché la guerra in corso è non solo asimmetrica, ma anche ibrida, cioè viene combattuta su diversi scacchieri e con arsenali eterogenei: da un lato la Russia combatte sì una guerra tradizionale contro l’Ucraina a colpi di carri armati, missili e bombe, ma in realtà il suo vero avversario è la Nato, e in definitiva sono gli Stati Uniti; dall’altra gli Stati Uniti conducono per mezzo dell’Ucraina una guerra per procura tradizionale contro la Russia, ma intanto preparano una guerra asimmetrica di guerriglia nel caso tutta o parte dell’Ucraina venga annessa da Mosca e hanno già scatenato una guerra economica e finanziaria diretta e totale contro la Russia. Non per niente, il ministro delle finanze francesi Bruno Lemaire ha definito l’uso dello Swift una “arma finanziaria…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.